Hanno trascorso l’adolescenza dentro e fuori le aule di tribunali, hanno combattuto contro un’industria dei contenuti che li accusava di aver condiviso illecitamente materiale protetto dal diritto d’autore. I figli di Patti Santangelo si sono accordati con i colossi dei contenuti: se il giudice apporrà il sigillo alla proposta di accordo corrisponderanno 7mila dollari a titolo di risarcimento.
Patti Santangelo incarna appieno l’archetipo della mamma pirata tratteggiato dall’industria della musica: quarantenne, divorziata, cinque figli da mantenere. La donna era stata contattata dall’industria dei contenuti nel 2005: le era stata contestata la violazione del diritto d’autore commessa a mezzo Kazaa. Santangelo aveva negato: incapace di districarsi fra le basi dell’informatica di servizio, assicurava di non essere in grado di attingere alla rete per scaricare o caricare materiale protetto.
Per questo motivo la donna aveva deciso di non rassegnarsi a chiudere il caso con un patteggiamento e con 4mila dollari di compensazione: l’industria aveva fatto la propria proposta, Santangelo aveva ribattuto decidendo di affrontare il caso di fronte a un magistrato. Aveva sostenuto 24mila dollari di spese legali nel tentativo di dimostrare la propria innocenza, aveva ottenuto il supporto dei cittadini della rete. Il caso era stato chiuso nel 2006. Lo aveva riconosciuto lo stesso giudice incaricato di valutare il caso: Patti Santangelo sarebbe stata troppo digitaldivisa per potersi intrattenere con il file sharing.
Ma l’industria della musica si era scagliata contro i figli della donna, Michelle e Robert, rispettivamente, all’epoca della violazione contestata, di 15 e di 11 anni. Sarebbero stati loro ad aver insinuato nella macchina della famiglia Santangelo il client di condivisione e il materiale pirata, un migliaio di brani . La figlia avrebbe ammesso timorosa la propria colpevolezza, il figlio sarebbe stato tradito da un amichetto delatore.
Robert aveva mostrato la stessa tempra della madre: aveva puntato il dito contro le rappresaglie deterrenti dell’industria, aveva accusato i suoi accusatori di aver macchiato la propria reputazione, di aver divelto la propria attenzione dagli impegni scolastici, di aver prosciugato le finanze familiari con un’estorsione in piena regola. Ma il processo nei confronti dei giovani figli di Patti Santangelo si è dipanato per anni senza che l’autorità giudiziaria abbia decretato vinti e vincitori .
I due giovani hanno ora ceduto le armi, si sono dimostrati disponibili a patteggiare: si sono accordati con l’accusa per un pagamento di 7mila dollari , poco più di 5mila euro, da versare nell’arco di sei mesi; sono in attesa che il giudice approvi la proposta di accordo.
Il legale dei ragazzi ha spiegato che la negoziazione fra le parti è stata necessaria per contenere le spese legali, per evitare che il muro contro muro si trascinasse ancora per mesi. RIAA rifiuta di parlare di vittorie o di degni risarcimenti: nonostante l’industria dei contenuti abbia cambiato strategia nelle proprie battaglie, un proceso che si chiude per patteggiamento riuscirebbe in ogni caso a dimostrare che violare la legge comporta delle conseguenze.
Gaia Bottà