New York – Nel non facile tentativo di legittimare la nuova campagna di azioni legali contro gli studenti dei campus universitari americani, Mitch Bainwol e Cary Sherman, rispettivamente CEO e presidente della Board of Directors di RIAA , si affannano a spiegare che non solo è necessario difendere i diritti di proprietà delle major, ma anche educare gli universitari ad essere degli appassionati di musica responsabili per tutto il resto della loro vita.
I due vergano di proprio pugno un pezzo su Inside Higher Ed , nei fatti un’elegia per una industria musicale che non riesce a tenere il passo con l’ormai ben collaudato settore dello sharing digitale svincolato da qualsivoglia controllo.
“A tutt’oggi – scrivono Bainwol&Sherman – c’è una consapevolezza diffusa dell’impatto di questa attività (i download illegali, ndr ) inclusi i miliardi di dollari di entrate perse, i milioni di dollari in tasse perse, i migliaia di posti di lavoro bruciati e l’intera industria che sullo sfondo di un furto colossale fatica a far crescere un mercato online legittimo e vitale che benefici i consumatori”.
Ma non c’è solo la semplice difesa dell’industria nella nuova campagna di azioni contro i campus universitari: “Si tratta di una generazione di fan musicali”, scrivono accorati gli uomini della RIAA sparadenunce. Gli studenti di college, da accaniti consumatori d’un tempo, per le major si sono trasformati ora in downloader senza ritegno, tanto che ora “trovare un negozio di dischi ancora in affari nei pressi di un campus è un compito a dir poco difficile”.
Non è tanto la perdita nelle vendite che preoccupa RIAA, quanto “le abitudini apprese nei college che rimarranno con questi studenti per una vita intera”. Ragion per cui l’organizzazione vuole cogliere al balzo l’opportunità ancora concessa di “educare” i consumatori discoli di musica , “circa l’importanza della musica nelle loro vite e l’importanza di rispettare e valorizzare la musica come una proprietà intellettuale”.
La premiata coppia continua poi snocciolando una serie di dati sulla vastità del fenomeno dei download nell’ambito degli ambienti universitari, e si lamenta del comportamento della vasta maggioranza degli atenei, ancora recalcitranti nell’applicare tutte quelle misure che RIAA reputa necessarie per debellare il fenomeno. Il pezzo si conclude poi con una sorta di avvertimento circa “l’occhio vigile” del Congresso su P2P e dintorni , come a dire: o ci pensate voi o ci pensano le nostre lobby .
Come prevedibile, le reazioni e i commenti allo scritto vanno dalla definizione delle iniziative di RIAA come semplice “estorsione” alla considerazione del fatto che i negozi accanto ai campus non ci sono più perché “non è responsabilità dei college sostenere un modello di business sulla via del fallimento”.
Di fatto, l’iniziativa di RIAA giunge in un momento sfortunatissimo, proprio mentre uno di quegli artisti che vorrebbe difendere si scaglia contro l’intero sistema attuale della musica commerciale : David Byrne , fondatore della band new wave dei Talking Heads , autore e produttore di molte delle più note e celebrate musiche contemporanee, confessa con tranquillità sul NYTimes di scaricare musica illegalmente, o tutt’al più di acquistarla da eMusic , lo store di MP3 drm-free lontano dall’influenza delle grosse etichette.
Byrne prevede il sorpasso dei download digitali sul mercato del disco entro il 2012 . Non solo: denuncia “il monopolio di iTunes” e l’utilizzo indiscriminato di DRM, descrivendoli come le ragioni principali delle attuali difficoltà dell’industria sul nuovo mercato telematico. Le major, secondo il celebrato artista, per sopravvivere dovranno trasformare se stesse da produttrici e distributrici di dischi a società specializzate nel marketing e nella promozione, o tutt’al più concentrarsi nella produzione dei blockbuster di sicuro successo (“del genere di Britney Spears”).
David Byrne dichiara poi dati piuttosto interessanti sui reali guadagni degli artisti derivanti delle vendite dei CD: 1,60 dollari , non un centesimo in più è quanto spetta agli autori per ogni disco. Ed è esattamente quanto percepito dalla vendita degli album su iTunes, sostiene ancora Byrne. I costi di produzione e distribuzione in questo caso non esistono, ma “in qualche modo gli artisti finiscono per percepire esattamente la stessa somma”.
Byrne loda infine le possibilità espressive dei nuovi media e della rete, che favorisce gli autori in grado di lavorare in maniera indipendente come Aimee Mann . Pur tuttavia un simile modello di lavoro non funzionerebbe con gli autori più piccoli o che hanno necessità di formarsi, bisognosi di “un team che provveda al marketing e al supporto per i tour”.
Alfonso Maruccia