C’è il peer-to-peer che fa fluire miliardi di file ogni giorno sulla grande rete e c’è lo sharing su reti locali, magari ampie e performanti come quelle di certe università americane, che più in piccolo riproduce lo stesso fenomeno: tutto questo è da qualche giorno formalmente nel mirino di RIAA e MPAA , ossia le associazioni degli industriali americani della musica e del cinema.
Le due lobby, che da anni chiedono alle università di chiudere il rubinetto del P2P , hanno ottenuto il via libera ad una risoluzione congressuale firmata dall’influente senatore repubblicano Lamar Alexander che impone alle università “di adottare politiche e programmi di educazione nei propri istituti affinché si riduca e si elimini la violazione di diritto d’autore che prende piede sui propri sistemi informatici, di cui devono proporre un uso educativo”.
In buona sostanza, la risoluzione rende più facile alle major pressare gli atenei affinché mettano in campo strumenti di controllo anche sulle proprie LAN , le reti locali alle quali gli studenti, in piena crociata antiP2P, hanno via via sempre più fatto ricorso per scambiarsi file, e tra questi anche file protetti da diritto d’autore. Uno sharing senza scopo di lucro che secondo gli industriali è però causa di danni imponenti alle casse del settore. Come rileva LinuxElectrons , queste attività in LAN hanno preso piede soprattutto con lo sviluppo di ambienti di networking come il ResNet della Purde University. Due studenti che usano quel sistema sono stati già denunciati da alcuni studios hollywoodiani.
In queste settimane RIAA e MPAA hanno inviato decine di lettere di avviso ai dirigenti di una quarantina di università statunitensi sottolineando l’uso illegale che viene fatto delle LAN: tenendosi fuori dalla “grande internet”, gli studenti riescono in questo modo a schivare le operazioni di monitoraggio da tempo attivate dalle major sui sistemi peer-to-peer più gettonati.
Ad avvalorare la teoria dei gravi danni economici all’industria musicale e cinematografica che derivano da P2P e affini, proprio nelle scorse ore è stato pubblicato un nuovo rapporto dal Journal of Law & Economics basato sulle analisi di alcuni esperti accreditati.
Nel rapporto si sostiene l’esistenza di un “collegamento diretto tra i cambiamenti nell’uso del file sharing e cambiamenti nelle vendite di dischi”. Come già sostenuto da IFPI , il rapporto sostiene che chi scarica file musicali dalla rete tende a ridurre i propri acquisti di musica e che questo succede almeno nel 30 per cento dei casi.
Dati che sono suffragati, secondo il Journal, da altri studi condotti sul comportamento degli studenti di alcune università americane, secondo cui “il download riduce le vendite” perché chi scarica, appunto, compra di meno, a volte molto di meno.
Di un certo interesse anche l’affermazione di un altro passo del rapporto, legato ad un ulteriore studio sull’argomento, secondo cui le denunce RIAA stanno ottenendo l’effetto sperato , che sarebbe quello di “sensibilizzare” gli americani a non utilizzare i sistemi di sharing con finalità illegali. Secondo lo studio, chi condivideva grandi quantità di file nel 90 per cento dei casi ha ridotto del 90 per cento le proprie attività, mentre i downloader meno “impegnati” le hanno ridotte per i due terzi. Secondo questo studio gli utenti “hanno risposto nel modo voluto dalla RIAA”.
Il Journal conclude sui successi della crociata antipirateria sostenendo che tra il giugno del 2005 e il gennaio del 2006 il numero di file scambiati illegalmente in rete sarebbe sceso da 900 milioni a 885 milioni. Numeri importanti, che sembrano cozzare contro altre stime , che danno invece il P2P nel 2006 ai massimi storici di partecipazione globale.