RIAA deve sentirsi galvanizzata dalla recente vittoria sulla “mamma pirata” Jammie Thomas, la prima che abbia mai portato a una condanna per P2P non autorizzato davanti a una giuria. Forte di questo apparente successo – al netto, ovviamente, della cattiva pubblicità per una industria già non vista di buon occhio da molti – i discografici si imbarcano ora nell’ ennesima fase della crociata contro utenti e tecnologie di condivisione in rete e a difesa del diritto d’autore , trascinando in tribunale un famoso service provider per l’accesso ai newsgroup di Usenet .
Un consorzio di major ha denunciato Usenet.com – uno dei provider che fungono da punto di accesso al network NTTP per coloro i cui ISP non lo prevedessero o lo permettessero in maniera limitata – perché a loro dire promuove esplicitamente lo scambio di contenuti illegali . RIAA vuole che il giudice vieti a Usenet.com di pubblicizzare i propri servizi come viatico ideale per azioni di pirateria telematica, oltre ovviamente a farle pagare i danni, le spese legali e ogni altra pena pecuniaria venga in mente alla corte di comminare alla società.
Un’azione che sta sollevando moltissima polvere: con l’avvento del web di massa, i newsgroup di Usenet sono diventati via via un fenomeno non più centrale come un tempo e, sebbene Usenet sia nota per essere punto di approdo privilegiato per quanti fossero alla ricerca di mp3, DivX e quant’altro , disponibili ad esempio sui gruppi della famigerata gerarchia alt.binaries , non era ancora finita così platealmente nel mirino delle etichette discografiche.
A giocare in difesa di Usenet è sempre stata la sua storia tecnologica – il network è oramai in circolazione da più di un quarto di secolo – e il fatto che, al contrario del P2P, la motivazione fondamentale alla base del funzionamento di NTTP è sempre stata la discussione aperta , moderata o affidata ad un più generico rispetto della netiquette , molto più che che la “mera infrazione” del diritto d’autore.
Ma Usenet non è Usenet.com, sebbene quest’ultima veicoli i newsgroup, ed è questa, secondo le major, a dover essere messa a tacere. Secondo RIAA e soci Usenet.com pubblicizza i propri servizi a pagamento come sistema per accedere ad alta velocità a server dedicati e scaricare tutto quello che si vuole , fregandosene bellamente di produttori e aventi diritto. “Shh… Silenzio! Crediamo che siano solo affari tuoi e non di altri quello che fai su Internet o in Usenet” è il motto con cui la società promuove i suoi servizi, ribadendo che “Noi non tracciamo l’attività degli utenti”.
E questo è troppo per le major. “Usenet.com ha promosso e perpetrato un modello di business illegale condotto a discapito dell’industria musicale”, ha dichiarato un portavoce di RIAA ad ars technica . “Può essere considerato furto telematico in una maniera leggermente diversa – ha continuato il rappresentante dell’organizzazione – ma il modello di business illegale di Usenet.com è ben poco diverso da quello dei tanti Grokster della rete”. RIAA evoca Grokster, Morpheus e la sentenza-mazzata contro le società di software del P2P che tanto clamore fece due anni or sono, come avvertimento per i maggiori newsgroup service provider : allora come in questo caso, promuovere un servizio per velocizzare il download di musica e contenuti multimediali a spese dell’industria potrebbe costare caro .
E ora come allora, RIAA ha deciso di attaccare i gestori di un servizio lasciando da parte, non si sa ancora per quanto , gli utenti del suddetto. “Condurre azioni contro quei siti che facilitano il download illegale”, è questa la direttiva da seguire, secondo quanto sostenuto pubblicamente dall’organizzazione in occasione dell’avvio della nuova causa.
Una possibile difesa per Usenet.com
Il news provider è dunque condannato a fare la fine di Grokster e pagare centinaia di milioni di dollari in riparazione dei “crimini” commessi per mezzo dei suoi servizi? Forse no, se i suoi rappresentanti legali riusciranno ad imbastire una buona difesa basata sulla discussa direttiva americana sul copyright meglio nota come DMCA .
La legge prevede infatti un “safe harbor” di protezione legale da eventuali denunce da parte degli aventi diritto, fintantoché la società oggetto della causa si mostri pronta a rimuovere il materiale responsabile dell’infrazione. In questo caso, la tesi difensiva dovrebbe far leva sull’estraneità della società nei confronti degli upload/download dei file gestiti dagli utenti, e sul fatto che dietro opportuna segnalazione da parte dei proprietari del copyright essa si muova prontamente per far sparire i contenuti incriminati .
La nuova, clamorosa vicenda è ad ogni modo soltanto all’inizio: contro Usenet.com e il suo network di accesso veloce ai newsgroup attivi nel mondo, giocano messaggi promozionali come quello sugli Mp3 Newsgroups : “Il modo più eccitante di condividere file MP3 su Internet è Usenet – si legge sul sito – Scordatevi di tutte le applicazioni software di peer-to-peer, che diverranno ben presto antiquate”. Un’affermazione che in un momento meno caldo non rappresenterebbe certo uno scandalo, viste le tonnellate di MP3 del tutto legali che girano in Internet, ma che in tribunale, adeguatamente forzata, potrebbe contribuire a mettere nei guai l’azienda.
Se c’è chi, come Declan McCullagh su cnet , prevede che i prossimi obiettivi di RIAA – seguendo la strada della persecuzione dei provider NTTP – potrebbero essere società del calibro di AT&T, Verizon e altri giganti della connettività americana, ben difficilmente il network propriamente detto di Usenet, storica piazza di discussione della rete telematica mondiale basata su una struttura completamente decentralizzata, subirà contraccolpi tali da dover chiudere baracca, burattini e gerarchie binarie tutte insieme.
Alfonso Maruccia