La Recording Industry Association of America (RIAA) vuole pirati pentiti, vuole che si mettano a nudo per illustrare al mondo i mali della condivisione in Rete, perché incarnino la redenzione che li ha riportati sulla retta via del rispetto del diritto d’autore. Quale migliore testimonial contro la pirateria della prima persona ad aver combattuto in tribunale l’industria della musica, senza riuscire a dimostrare la propria innocenza di downloader?
Jammie Thomas, madre di famiglia 36enne, allo stato del processo risulta colpevole di aver scaricato 24 brani musicali a mezzo Kazaa, sul suo capo pende una richiesta di risarcimento di 222mila dollari. Il suo caso, a differenza della miriade di denunce risoltesi con un accordo stragiudiziale tra la RIAA e i netizen colti a scaricare, è stato il primo ad aver affrontato l’industria della musica in tribunale, ha scomodato la Corte Suprema e l’ amministrazione Obama . Un gran dispiegamento di attenzione mediatica, che ha reso la figura di mamma Jammie nota anche alle cronache generaliste.
RIAA le ha teso la mano: uno sconto sui danni da risarcire in cambio della sua abiura . Da propagandare come un esempio che incuta timore, come la luce in fondo al tunnel di una vita di abusi del copyright. Lo stesso meccanismo era stato adottato con Kevin Cogill, responsabile di aver regalato al mondo l’ultimo disco dei Guns N’Roses in anteprima sull’uscita, per un video antipirateria mai realizzato , e con l’ amministratore di un network di condivisione condannato al carcere.
“Non sono intenzionata a farlo”: è ferma la risposta di Jammie Thomas. La donna, piuttosto, sceglierà di dichiarare bancarotta, impossibilitata a risarcire l’industria, impossibilitata a rinunciare a combattere la propria battaglia. ( G.B. )