Induzione alla violazione del copyright: una responsabilità attribuita agli azionisti e al CEO di LimeWire dal giudice Wood di New York nel giudizio che sancisce, almeno per il momento, la fine della vicenda che per anni ha visto contrapposti il servizio di sharing e i rappresentanti della RIAA, Record Industry Association of America .
Al giudice sarebbe bastato ispirarsi alla sentenza che nel 2005 aveva affondato Grokster in quella che era stata la seconda grande sconfitta per il P2P made in USA dopo Napster. I termini di entrambi i casi per certi versi coincidono: da una parte i detentori dei diritti e dall’altra produttori di software di condivisione, i quali, se la decisione di Wood dovesse costituire da esempio per processi futuri, sarebbero da considerarsi “consapevoli dell’uso illegale del proprio software” che a quel punto potrebbe essere facilmente equiparato a uno “strumento che permette e agevola la violazione del copyright”.
Altre responsabilità attribuite a LimeWire sono quelle di “non aver preso provvedimenti adeguati per arginare il fenomeno” e di “aver tratto un considerevole vantaggio sul mercato grazie a queste pratiche illegali”. Inoltre, dopo la caduta di Napster, i gestori di LimeWire avevano pubblicamente annunciato di essere pronti ad accogliere tutti gli utenti in cerca di una nuova strada per il download: alla corte questo e altri atteggiamenti, come la campagna AdWords portata avanti tra il 2002 e il 2006 durante la quale le query risolte da Google per Napster , Morpheus e altri appellativi inequivocabilmente legati al file sharing conducevano al collegamento sponsorizzato del sito ufficiale di LimeWire, non sono andati giù. “Le prove analizzate dimostrano – secondo il giudice Wood – che le caratteristiche di LimeWire erano state opportunamente ottimizzate per scaricare contenuti digitali protetti da copyright”.
Il CEO di LimeWire ha spiegato in una dichiarazione di essere decisamente contrariato dalla delibera: l’obiettivo aziendale non verrà modificato, in attesa di conoscere i termini del giudizio nell’udienza fissata per il 1° giugno, quando il destino dell’ultimo software per file sharing verrà messo agli atti in via definitiva. Si parla di un risarcimento pari a 150mila dollari per ogni violazione accertata .
Se nel resto del mondo, ma anche negli stessi States, le autorità progettano interventi atti a colpire chi scarica illegalmente contenuti protetti da copyright, il fronte dell’industria non rinuncia a mirare direttamente a chi fornisce gli strumenti per attuare tale pratica. Ciò nonostante LimeWire almeno dal punto di vista formale non ha mai incoraggiato pratiche illegali, adottando anzi un politica di tolleranza zero nei confronti degli utenti colti ad abusare dei suoi prodotti.
Ciò che preoccupa gli addetti ai lavori è la dicitura di “induzione alla violazione del copyright”, che non compare in alcun testo emanato dal Congresso ma che potrebbe fare scuola in futuro nell’azzoppare tecnologie che possono essere utilizzate per gli scopi più diversi, legali o illegali che siano.
Giorgio Pontico