Sul mercato musicale statunitense il fatturato generato dallo streaming ha conquistato la maggioranza assoluta: cresce in tutte le sue forme e vale più della somma dei fatturati generati dagli altri comparti. A confermare le tendenze in corso da anni, e il valore del circolo virtuoso dell’entrata in gioco di nuovi contendenti, è il report annuale stilato dalla Recording Industry Association of America (RIAA).
Lo streaming , rileva RIAA, nel 2016 ha rappresentato il 51,4 per cento del mercato della musica degli States , a fronte del 24,1 per cento del download e del 21,8 per cento della musica acquistata su supporti fisici, entrambi inesorabilmente in calo, rispettivamente del -21,6 per cento e del -15,7 per cento. Il comparto dello streaming, come anticipato nei dati relativi alla prima metà del 2016, sta vivendo una crescita esplosiva: lo scorso anno il valore di questo modello di consumo è cresciuto del 68 per cento , a raggiungere i 3,9 miliardi di dollari, complice l’interesse delle platee nei confronti di un mercato sempre più differenziato e ricco di offerte tagliate su misura dei consumi degli utenti.
Cha si tratti di streaming su abbonamento, di streaming supportato dall’advertising, o delle soluzioni ibride dei servizi di radio in streaming che si affidano al licensing di SoundExchange, tutto il comparto dello streaming registra successi in termini di fatturato. A crescere con più vivacità, tanto in termini di numeri assoluti quanto in termini percentuali rispetto allo scorso anno, è però l’offerta su abbonamento : ha garantito all’industria quasi 2,5 miliardi di dollari , un valore più che raddoppiato rispetto allo scorso anno, rappresentando un terzo del fatturato complessivo del mercato della musica statunitense. Il numero di utenti è stimato in 22,6 milioni (+109 per cento rispetto al 2015) .
È rilevante anche la crescita del comparto dello streaming supportato dall’advertising : nel 2016 ha garantito un fatturato di 469 milioni di dollari, in crescita del 26 per cento rispetto all’anno precedente. RIAA, nel tenere traccia della crescita del mercato dello streaming supportato dall’advertising, non perde però l’occasione di sottolineare ancora una volta come i dati relativi al fatturato, se confrontati con i dati relativi alla fruizione, mostrino con chiarezza il peso del cosiddetto value gap, la sproporzione tra il successo in termini di consumo e l’esiguità dei profitti: “non ha senso che siano necessari mille ascolti di un brano in streaming su YouTube per generare un dollaro a favore dei creatori, quando servizi come Apple e Spotify pagano i creatori 7 o più dollari per lo stesso numero di ascolti” denuncia il CEO di RIAA Cary Sherman.
Si stima che negli USA nel 2016 gli ascolti totali su servizi come YouTube ammontino a 200 miliardi: Sherman informa, sulla base di recenti analisi , come “i creatori perdano una cifra tra i 650 milioni e il miliardo di dollari a causa delle distorsioni nel sistema delle negoziazioni per il licensing” imputabili a “un regime legale ingiusto e arretrato”.
L’industria statunitense, dopo anni di diffidenza e di lotte per difendere il mercato tradizionale della musica fisica, ammette finalmente che la Rete è determinante per il mercato musicale , e che proprio nella Rete sono da riporre le speranze di crescita. Ma i fasti del passato sono lontani, e il digitale non consente di sopperire, in termini di fatturato, al declino dei modelli di consumo della fine del secolo scorso , quando Internet era sostanzialmente interpretata come pirateria .
La Rete, secondo i rappresentanti dell’industria della musica di tutto il mondo, Italia compresa , andrebbe ancora addomesticata : per questo RIAA fa appello alla legge e e ai colossi della Rete, che dovrebbero adoperarsi per cambiare uno “status quo disfunzionale e insostenibile” in un contesto che attribuisca alla musica il valore che l’industria della musica ritiene equo.