“Trascinare qualcuno in tribunale non è mai stata la nostra opzione preferita, ma un passo che si è reso necessario “. Parla RIAA, nei panni della portavoce Cara Duckworth .
Intervistata su cnet descrive le tattiche di combattimento e difende l’immagine dell’organizzazione che rappresenta l’industria della musica.
La battaglia condotta da RIAA, come noto, non fa sconti a nessuno: vengono coinvolte madri di famiglia e vecchiette pirata , ma l’obiettivo restano i giovani studenti delle università americane. Erano il segmento più fertile a cui la musica poteva rivolgersi, ma hanno sviluppato una disaffezione nei confronti del concetto di proprietà intellettuale: è tempo di rimediare, contando sul fatto che la loro mente è ancora malleabile.
“Nonostante nuovi ed entusiasmanti servizi legali e i tentativi di educarli, troppi studenti continuavano a procurarsi la musica in maniera illegale”: così, nei primi mesi dello scorso anno, si è dato il via all’ offensiva nei confronti dei ragazzi a colpi di denunce. “C’era bisogno di aggiungere un fattore di deterrenza” ha spiegato Duckworth: “Gli studenti del college hanno cristallizzato le loro abitudini di consumo della musica, ma il rispetto che nutrono nei confronti della proprietà intellettuale non ha ancora raggiunto un pieno sviluppo”.
A chi dubita che la strategia fatta di denunce e patteggiamenti possa funzionare, risponde sicura la rappresentante dell’ Association : le persone ora sono molto più consapevoli di quello che è legale e quello che è illegale e “il problema del P2P” ha smesso di dilagare, sembra essersi assestato.
Ma “quella delle denunce non è che una fetta della torta”: esistono programmi per la rieducazione della popolazione più giovane al copyright, si sta tentando di esercitare una pressione sulle istituzioni perché si uniformino a livello sovranazionale le normative sul diritto d’autore, c’è la sempre più stretta alleanza con IFPI, mentre le case discografiche stanno traghettando i loro contenuti verso servizi legali sempre più validi.
L’immagine della RIAA? Dribbla le domande del giornalista, Cara Duckworth: “A nessuno piacciono i processi e a nessuno piace essere colto in flagrante”. L’aura di negatività che circonda il brand dell’Associazione sarebbe imputabile al polverone sollevato dai pochi utenti denunciati . A coloro che ritengono che la RIAA se la prenda con gli utenti più indifesi, Duckworth risponde di non credere a tutto ciò che leggono, ma di credere ai fatti. Le procedure che l’Associazione segue per identificare e inchiodare i colpevoli sono perfettamente legali, “cerchiamo sempre di essere chiari e comprensivi nel risolvere ciascuno dei casi”.
Gaia Bottà