Washington (USA) – Si chiama Ernest Brenot, ha 79 anni e vive a Ridgefield, nello stato di Washington. E’ un pensionato accusato dalle major americane della musica rappresentate dalla RIAA di essere un accanito scaricatore di musica sulle piattaforme peer-to-peer. Brenot avrebbe posto in condivisione in rete quasi 800 brani di artisti molto noti, da Vanilla Ice a U2, da Guns N’ Roses a Linkin Park. Come ha però spiegato la moglie Dorothy, Brenot non solo non ha un computer ma neppure sa come si usa. Entrambi si ritengono offesi dalla denuncia della RIAA e lo hanno fatto sapere alle major in una lettera manoscritta che han loro inviato.
Brenot è però solo uno dei tanti americani che in queste settimane stanno continuando a ricevere accuse e denunce dall’industria discografica. Il suo nome appare in una lista di 80 accaniti condivisori redatta dalla RIAA ad ottobre. A questi, nei giorni scorsi, se ne sono aggiunti altri 41, che sono distribuiti in 11 diversi stati americani. A 90 persone, invece, è stata inviata una lettera di diffida con l’invito a cercare una intesa con la RIAA prima che una denuncia formale parta contro ciascuno di loro.
Fin qui, dunque, la crociata della RIAA contro il P2P ha portato ad un totale di 382 denunce ma, come ha spiegato la stessa associazione, l’azione legale non finisce qui, anche perché gli utilizzatori dei sistemi di file sharing si contano a decine di milioni. “Chi si intrattiene nella condivisione illegale di file – ha avvertito il presidente RIAA Cary Sherman – deve sapere che, anche se non lo sentiranno sui media questo mese, il programma repressivo non è stato in alcun modo ridimensionato. Anzi, probabilmente aumenterà di intensità”.
I metodi sono sempre quelli: sparare agenti software nei network di scambio, programmi sviluppati da aziende tecnologiche assunte a questo scopo, e individuare i grandi condivisori , coloro che in rete mettono a disposizione grandi quantità di file. Dopodiché viene inviata una richiesta formale ai provider di consegna dei nomi degli utenti che corrispondono agli IP rilevati in rete. A tutto questo segue poi la denuncia. Come nel caso di Brenot, un errore forse generato dalla presenza per qualche tempo, in casa dell’uomo, del nipote informatizzato. Certo non è un errore quella che ha colpito la pericolosa 12enne Brianna LaHara , una ragazzina che in barba a qualsiasi legge sul diritto d’autore usava una copia di Kazaa acquistata online per 30 dollari dalla madre.
Con l’arrivo delle denunce, ad ogni modo, sono anche molti gli utenti del file sharing che fanno mea culpa e si accordano con la RIAA per chiudere i casi che li riguardano con un accordo extragiudiziale, intese peraltro fortemente auspicate dalle major. Queste ultime, infatti, devono gestire un complesso problema di immagine connaturato nel fatto che molti dei perseguiti e soprattutto molti degli utenti del P2P, appassionati di musica, sono anche coloro che comprano CD e sostengono dunque il business dell’industria di settore.
RIAA ha dichiarato di aver finora stretto accordi extragiudiziali con circa 220 utenti, i quali hanno pagato multe comprese tra i 2.500 e i 7.500 dollari a testa. Inoltre, più di mille persone che hanno usato sistemi di file sharing si sarebbero spontaneamente rivolte alle major per aderire al programma “clean state”, che promette “amnistia” a chi si “pente”.
Uno dei maggiori risultati della crociata RIAA è senz’altro di grande interesse. Secondo la “Peter D. Hart Research Associates”, infatti, le iniziative legali stanno aumentando rapidamente il grado di consapevolezza degli utenti internet su ciò che è legale o meno nel condividere file. Da novembre 2002 a novembre 2003, infatti, il numero di americani che considera illegale condividere musiche protette da diritto d’autore su internet è cresciuto dal 37 al 64 per cento. Sarebbero inoltre confermate le cifre che indicano una diminuzione dell’uso dei sistemi di file sharing negli Stati Uniti e quelle secondo cui più della metà degli americani si dicono d’accordo con le iniziative delle major.
Della situazione ne ha approfittato anche Music-Amnesty.com che ieri ha presentato il suo programmino ShareManager, un sistemino che dovrebbe consentire alle aziende e alle famiglie di tenere un occhio puntato sui computer usati da dipendenti o parenti, per evitare che, dopo averli cancellati, riappaiano su quelle macchine i software per l’uso del peer-to-peer. La piccola utility che piacerà alla RIAA consente anche di impedire lo sharing senza però rimuovere i software presenti sulle macchine.