La Campagna Digital Freedom ha smosso così tanto le acque del dibattito statunitense sul diritto d’autore, che il presidente della Recording Industry Association of America ha deciso di far valere le sue ragioni in un articolo pubblicato su News.com . EFF, Public Knowledge, Consumer Electronics Association, Media Access Project e altre associazioni, il mese scorso, si erano fatte promotrici di un’iniziativa per la salvaguardia dei diritti dei cittadini e degli utenti Web. Una delle questioni più delicate che si è evidenziata in queste settimane, però, è quella che riguarda il cosiddetto ” fair use “. Un concetto applicato alle normative sul diritto d’autore che “…stabilisce la lecita citazione non autorizzata o l’incorporazione di materiale protetto dal diritto d’autore nel lavoro di un altro autore sotto certe specifiche condizioni” – si legge su Wikipedia .
In pratica il fair use si presta facilmente ad interpretazione, rendendo i lavori “protetti dal diritto d’autore disponibili al pubblico come materiale grezzo senza la necessità di autorizzazione, a condizione che tale libero utilizzo soddisfi le finalità della legge sul diritto d’autore, che la Costituzione degli Stati Uniti d’America definisce come promozione del progresso della scienza e delle arti utili (I.1.8), meglio dell’applicazione legale dei reclami di infrazione” – continua Wikipedia.
Cary Sherman, presidente di RIAA, è convinto che la Consumer Electronics Association ( CEA ) interpreti il fair use in una modalità estremistica per spaventare e fuorviare i consumatori e legislatori. “Come un trademark che diventa generico, la dottrina del fair use sta rischiando di perdere il suo significato e valore a causa della presa di posizione della CEA. La loro interpretazione è contorta, e sembra voler giustificare semplicemente chi non vuole pagare il diritto d’autore”, ha spiegato Sherman.
Secondo Sherman il fair use è codificato con precisione nella sezione 107 del Copyright Act per rispondere alle esigenze della critica, del commento, del giornalismo, dell’istruzione e della ricerca. Di fatto la sua determinazione è guidata da quattro fattori: lo scopo di utilizzo, il tipo di lavoro creativo, la quantità di utilizzo e gli effetti sul mercato o sul valore del lavoro – che di fatto deve essere bilanciato per stabilire quale uso sia “fair” (giusto).
“Non è una giustificazione che permette a tutti di fare un qualsiasi uso di una proprietà altrui. E non è certamente una giustificazione per amplificare le vendite di dispositivi elettronici e servizi alle spalle dei veri creatori e proprietari dei diritti”, ha sottolineato Sherman. “CEA e altri critici a volte dimenticano che le etichette discografiche e altri proprietari di copyright dipendono da un corretto utilizzo , e così i consumatori”.
Sherman non a caso cita ad esempio la presa di posizione di Gary Shapiro, presidente di CEA, che nel 2005 sulla questione Grokster dichiarò che il downloading non autorizzato non deve essere considerato “né illegale né immorale”. Il giudice Justice Breyer, ai tempi, rifiutò la teoria del fair use e dichiarò l’attività sulla nota piattaforma di sharing “un’azione di comune furto”.
“Il fair use è fondamentalmente un bilanciamento di interessi. Tutti gli interessi. Decidere per ciò che è giusto ci richiede di volgere lo sguardo in tutte le direzioni e ascoltare tutte le parti. Le migliaia di persone che lavorano nella nostra industria, siano essi musicisti, scrittori, artisti, produttori o promoter, meritano questa considerazione”, ha scritto Sherman.
Il più importante esponente della RIAA ha decide dunque di attaccare frontalmente la CEA. Secondo Sherman, la nota associazione statunitense si preoccupa soprattutto degli interessi delle aziende tecnologiche più che di quelli dei consumatori. “La missione di fare soldi è perfettamente accettabile. D’altronde sono proprio queste entrate che alimentano il progresso e le opportunità per la creatività. Ma nascondersi dietro ai diritti dei consumatori per sostenere interessi economici è assolutamente ipocrita. E farlo a spese di chi vanta il diritto di essere pagato per il suo lavoro non può che essere considerato miope”.
Una visione che è condivisa anche dalla U.S. Chamber of Commerce : “La coalizione guidata dalla Consumers Electronics Association, in pratica, sta perseguendo una strategia perdente. Azzerando i diritti dei creativi danneggerà i consumatori e chi produce tecnologia. Musicisti, artisti e film-maker non continueranno a produrre innovazione se non saranno certi di una protezione adeguata delle loro creazioni. E senza contenuti, il mercato della distribuzione è destinato anche ad estinguersi”.
I primi commenti online anti-Sherman non si sono fatti attendere, e non è escluso che nei prossimi giorni si esprima direttamente la CEA. Su Slashdot gli utenti/consumatori hanno postato infatti le loro opinioni . Arstechnica , invece, ha deciso di pubblicare una dura replica che cerca di smontare punto per punto la vision del Presidente di RIAA.
Dario d’Elia