In che modo i risultati personalizzati mostrati da Google nelle SERP sono in grado di influenzare noi, il nostro comportamento e le nostre decisioni? Un argomento a lungo dibattutto, oggetto di un nuovo report che focalizza l’attenzione sulla cosiddetta Filter Bubble che il gruppo di Mountain View crea attorno all’utente, sottoponendo alla sua attenzione link e contenuti in linea con le sue preferenze, abitudini o inclinazioni.
La Filter Bubble di Google
Una doverosa precisazione: lo studio è curato da DuckDuckGo, che sebbene possa vantare un market share di gran lunga inferiore rispetto a quello di Google, può in ogni caso essere considerato un concorrente di quest’ultimo nel territorio dei motori di ricerca. Si apre ricordando un’analisi del tutto simile condotta nel 2012, dalla quale emerse una maggiore propensione a mostrare contenuti legati alla campagna di Obama per le presidenziali statunitensi rispetto a quelli del concorrente repubblicano Romney.
La ricerca è stata condotta con un metodo molto semplice: è stato chiesto a diversi utenti (87 volontari, 76 su desktop e 11 su mobile) distribuiti in tutti gli USA di digitare su Google le stesse chiavi di ricerca, nello stesso momento, prendendo in esame poi i risultati restituiti per identificare eventuali differenze. Queste, in sintesi, le conclusioni.
- La maggior parte dei partecipanti ha visto risultati unici, non riconducibili a variazioni nella località geografica, all’orario, al fatto di aver effettuato il login al proprio account o al test di un nuovo algoritmo di indicizzazione;
- sulla prima pagina dei risultati per alcuni vengono mostrati link non presenti per altri, anche senza login all’account Google e navigando in modalità incognito (anonima);
- i risultati all’interno dei box relativi a notizie e video variano in modo significativo, anche effettuando la ricerca nello stesso istante.
Modalità incognito e privacy
Particolarmente interessante il secondo punto: stando a quanto sostiene DuckDuckGo, anche effettuando il logout dal proprio account Google o navigando in modalità anonima, sarebbe impossibile evitare la Filter Bubble. La dimostrazione nella grafica seguente, relativa alla query “gun control” che costituisce un tema caldo oltreoceano. Tra le altre analizzate anche “immigration” e “vaccinations”.
Nel dettaglio, senza login all’account e navigando in incognito, prendendo in considerazione i 76 utenti su desktop e la chiave “gun control”, in ben 62 casi sono state rilevate variazioni nei risultati mostrati a schermo. Per 52 di loro le SERP contenevano risultati unici, non visualizzati da altri. Differenze non giustificabili né con una diversa tempistica nell’esecuzione delle ricerche (tutte sono state effettuate nello stesso momento) né con la posizione geografica dei soggetti (quasi inesistenti i link che portano a notizie o contenuti locali).
Stessa dinamica per quanto riguarda i box contenenti notizie e video: anche navigando in modalità anomima, per la query “gun control” 75 su 76 persone hanno visto gran parte dei contenuti personalizzati. Questa una delle conclusioni di DuckDuckGo.
La maggior parte delle persone pensa che effettuare il logout e affidarsi alla modalità incognito offra una qualche forma di anonimato. Sfortunatamente è un’idea sbagliata, poiché i siti Web utilizzano gli indirizzi IP e le tracce lasciate dal browser per identificarle.
Tutte le informazioni e i dati raccolti nello studio sono consultabili e scaricabili dalle pagine del blog SpreadPrivacy di DuckDuckGo. Da Google, al momento, non sono giunti commenti o dichiarazioni in merito.