Le associazioni che si occupano di tutela della privacy e dei dati dei cittadini hanno abbandonato il confronto con produttori, aziende e istituzioni relativo allo sviluppo del mercato delle tecnologie e dei servizi legati al riconoscimento facciale.
Il dibattito è quello avviato sotto l’egida del National Telecommunication and Information Administration , la divisione del Dipartimento del Commercio a stelle e strisce responsabile dell’amministrazione del settore ICT, con lo scopo di delineare il codice di condotta per il promettente settore legato ai servizi in cui il riconoscimento facciale può risultare vantaggioso.
Tali nuove tecnologie aprono infatti la strada a nuovi possibili servizi, di cui tuttavia i dati fondamentali per il relativo funzionamento sono costituiti dai volti dei consumatori stessi: per questo occorre tener conto in maniera prioritaria delle questioni legate alla privacy ed alla gestione dei dati degli utenti, ma anche alla sicurezza, e ai rischi di stalking o di furti di identità, così come di possibili utilizzi massivi. Un esempio è l’ utilizzo che ne ha fatto la polizia britannica, digitalizzando e registrando in barba ad ogni diritto alla privacy i volti di tutti i partecipanti ad un festival musicale locale.
Per affrontare tutto ciò le aziende del settore hanno proposto lo sviluppo di un codice di condotta , cioè la stesura di uno strumento di soft law (il cui rispetto è quindi demandato alle intenzioni delle aziende stesse), e tale approccio ha ricevuto la benedizione dell’amministrazione Obama, che sta cercando di far convergere tale sforzo all’interno del Consumer Privacy Bill of Right per conferirgli maggior riconoscimento e possibilità di applicazione in via ordinaria.
L’idea, insomma, era quella di assumere tale codice di condotta come base per le linee guida con cui applicare la normativa costituita dal Consumer Privacy Bill of Right alle tecnologie di riconoscimento facciale. Tuttavia il dibattito si è rivelato subito in salita e dopo appena una dozzina di incontri tutte le nove organizzazioni interessate a vedere tutelati privacy e diritti dei cittadini hanno abbandonato il processo di sviluppo: pur avendovi partecipato con la massima buona fede per 16 mesi, affermano, non sono riuscite a farsi ascoltare neanche sulle condizioni di base, cioè sulla necessità da parte delle aziende di ottenere il consenso di coloro cui viene applicato il riconoscimento facciale.
Nel comunicato congiunto esse sottolineano come il dibattito fosse dominato dai lobbisti delle aziende. “Crediamo che le persone abbiamo un diritto alla privacy fondamentale – hanno sottolineato le associazioni – ed il diritto a controllare chi gestisce le informazioni sensibili. E non c’è dubbio che i dati biometrici costituiscano un’informazione assolutamente sensibile”.
Come minimo, si legge ancora nel comunicato, “le persone dovrebbero poter camminare lungo una strada pubblica senza la paura che siano costantemente pedinati – e che siano riconoscibili – tramite le nuove tecnologie.”
Claudio Tamburrino