Roma – Non va bene agli operatori del settore e non va bene agli ambientalisti la nuova direttiva comunitaria sullo smaltimento dei rifiuti hi-tech varata nei giorni scorsi dalla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo. Una direttiva che, secondo Hewlett-Packard e gli altri soggetti che protestano in queste ore, vorrebbe addossare alle imprese che operano correttamente oneri di spettanza di altre società, con inevitabili conseguenze sull’efficacia stessa della direttiva.
La questione è assolutamente centrale per i pesantissimi effetti collaterali che sull’ambiente ogni anno si producono con lo smaltimento selvaggio da parte di privati ed aziende di materiali informatici e, più in generale, elettronici ed elettrici. Lo scandalo recentemente esploso negli Stati Uniti sullo smaltimento di questo genere di rifiuti nei paesi in via di sviluppo non è che la punta dell’iceberg di un problema mondiale. Va da sé che regole europee chiare e realistiche risultano essenziali, viste anche le dimensioni del mercato comunitario.
“Hewlett-Packard Company – si legge in una nota diffusa nelle scorse ore – insieme agli ambientalisti europei e ad altri produttori di apparecchi elettronici denuncia le proprie preoccupazioni per una clausola approvata la scorsa settimana dalla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo. Una norma che potrebbe incoraggiare aziende prive di scrupoli a ignorare gli obblighi previsti dalla direttiva sul riciclo e sullo smaltimento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”.
Da diversi mesi l’alleanza fra produttori e ambientalisti sembrava avere successo nello spingere l’Unione Europea a far sì che ogni azienda sia costretta a sopportare i costi legati esclusivamente al riciclo dei propri apparecchi di nuova produzione. A tal proposito, alcuni gruppi tra i quali la BEUC (l’associazione dei consumatori europei), l’EBB (European Environment Bureau), il World Wildlife Fund (WWF) e aziende quali AB Electrolux, Apple Europe, Nokia e Sony avevano rilasciato recentemente una dichiarazione congiunta per promuovere questo principio, sottolineando che permetterebbe ai governi di far osservare la normativa punendo i trasgressori.
Nonostante la campagna condotta da produttori e ambientalisti, la Commissione Ambiente del Parlamento Europeo ha invece deciso di costringere le aziende a sostenere anche i costi di altri produttori di elettronica che non siano più reperibili o che violino intenzionalmente il sistema evitando di osservare la legge.
“Siamo estremamente preoccupati e delusi da questa recente decisione intrapresa dalla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo – ha dichiarato Bernard de Valence, Presidente e GM di HP per l’area EMEA – Se dovesse essere approvata così come è scritta, produttori responsabili come HP sarebbero penalizzati dall’obbligo di smaltire i rifiuti di altre aziende meno scrupolose. Il modo con il quale è scritta questa clausola incoraggerà i produttori a ignorare i propri obblighi con gravi danni per l’ambiente”.
La nuova direttiva comunitaria sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche non è ancora efficace e dovrà superare alcuni passaggi prima di divenirlo, ecco perché proprio in questi giorni si alza il tiro della “battaglia” per cercare di giungere ad una sua revisione prima del varo definitivo. Dopo, tutto potrebbe risultare più difficile.
La votazione definitiva della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo su questo tema specifico si terrà infatti a Strasburgo nella settimana che inizia l’8 aprile. La direttiva entrerà in vigore alla fine di quest’anno per assicurare l’adeguato riciclo di questo tipo di rifiuti in tutta Europa.
L’idea centrale della direttiva è assolutamente lodevole, perché finalmente viene stabilito il principio secondo cui le aziende produttrici di materiali informatici, elettronici ed elettrici non possono ignorare il destino dei propri prodotti una volta che questi escono dal mercato nel quale sono stati introdotti.
Nel caso di apparecchiature di vecchia produzione, è già stato concordato che i produttori attuali sostengano i relativi costi di smaltimento suddividendoli tra loro; per apparecchiature di nuova concezione, la cui progettazione orientata all’ambiente può influenzare i costi di riciclo, l’imputazione degli oneri è stata oggetto di un intenso dibattito.
E’ infatti evidente che non tutte le aziende produttrici hanno ancora messo in campo processi di realizzazione dei device che possano definirsi “eco-compatibili”, un obiettivo che viene però ritenuto necessario raggiungere non solo per assicurare uno smaltimento a minore impatto ambientale ma anche per massimizzare il recupero delle materie prime e dei materiali riciclabili.
Proprio per questo si protesta contro quella clausola, per evitare che costringendo alcuni ad assumere oneri di terzi vi siano scappatoie per i produttori meno attenti anziché incentivi ad adeguarsi ad un maggior rispetto dell’ambiente.