29 secondi di un bimbo che zompetta sulle note appena percepibili di un brano di Prince, caricati su YouTube, non rappresentano necessariamente una violazione del diritto d’autore. Una violazione, però, può essere stata commessa dal detentore dei diritti, intervenuto grossolanamente per rivendicare una rimozione che non s’era da fare.
I detentori dei diritti negli USA hanno a disposizione il rodato meccanismo del notice and takedown fissato nel Digital Millennium Copyright Act: ormai scandite da procedure automatizzate o frutto dell’analisi certosina degli incaricati, le richieste di rimozione innescano la mobilitazione delle piattaforme presso cui i contenuti sono stati caricati illegalmente. Ma questo strumento, se imbracciato impropriamente, può comprimere la libertà di espressione dei cittadini della Rete che agiscano nell’ambito del fair use, della legittima utilizzazione delle opere protette da copyright: è per questo motivo che la legge statunitense prevede delle pene che dissuadano dalle richieste di rimozione ingiustificate , è per questo motivo che Electronic Frontier Foundation dal 2007 difende Stephanie Lens, che aveva condiviso su YouTube un breve video di suo figlio capace di scatenare il fervore dell’industria dei contenuti.
Il caso del “Dancing Baby” rappresenta da anni l’apice della furia repressiva di Universal: la breve clip, con sottofondo musicale del brano “Let’s Go Crazy” di Prince, era stata rimossa da YouTube su richiesta di Universal, per poi essere ripristinata nel momento in cui Lens, supportata da EFF, aveva invitato la piattaforma di condivisione video a riesaminare il takedown. Si era aperto un contenzioso anche presso i tribunali, con l’esplicito scopo di dimostrare il valore del fair use, e l’importanza di un dispositivo legale che dissuada i detentori dei diritti dall’emanare richieste di rimozione a pioggia.
Il confronto con la Corte d’appello della California, che ha riesaminato il caso dopo una prima sentenza sfavorevole a Lens, è culminato ora con una decisione che EFF definisce di importanza fondamentale per orientare la giurisprudenza statunitense in materia: i detentori dei diritti, prima di inoltrare una richiesta di rimozione, sono tenuti a prendere in considerazione la possibilità che il contenuto caricato dall’utente ricada nell’ambito del fair use , l’uso legittimo che costituisce un’eccezione alla tutele offerte dal diritto d’autore.
Quello che in termini di principio appare un esplicito invito a non abusare dei meccanismi di notice and takedown, nel testo della sentenza si rivela però in tutta la sua contraddittorietà, nel momento in cui si debba declinare nella realtà dei fatti.
I giudici hanno stabilito che escludere a priori la possibilità del fair use rappresenti un comportamento in cattiva fede da parte del detentore dei diritti, e quindi sia soggetto alle sanzioni previste dalla sezione 512(f) del DMCA, che colpisce coloro che formulino delle richieste di rimozione senza averne alcun diritto. Ma come è possibile stabilire se un detentore dei diritti abbia contemplato questa possibilità? I giudici ritengono che valutare l’eventualità che il contenuto rappresenti fair use non richieda attività “di ricerca” o “attività particolarmente intensive”, né renda necessario alcun tipo di indagine riguardo al contenuto che si presume in violazione. Pressoché impossibile, dunque, dimostrare che l’illiceità di una richiesta di rimozione sia dettata dalla cattiva fede .
In virtù del fatto che indagini approfondite sul contenuto non sono necessarie, i sistemi di individuazione automatica di materiale illecito e i sistemi di rimozione automatica secondo i giudici potrebbero rappresentare “una mediazione valida e distintiva di buona fede per gestire una grande quantità di contenuti rispettando i dettami del DMCA e la necessità di considerare in qualche modo il fair use”: secondo i giudici nel momento in cui un’opera caricata illegalmente si sovrappone nella sua interezza all’opera originale la probabilità che si tratti di fair use è bassa, e la buona fede degli algoritmi sarebbe provata. Ma l’eccezione dell’uso legittimo si fonda anche su altri parametri , quali la destinazione d’uso, l’impatto sul mercato e le intenzioni del riuso dell’opera originale, che solo un essere umano può soppesare: per questo motivo uno dei giudici ha espresso dei dubbi nei confronti delle soluzioni automatizzate, inevitabilmente grossolane.
Sarà un nuovo processo, ora, a stabilire se Lenz sia stata danneggiata dalla richiesta di rimozione di Universal e se le debba essere riconosciuto un risarcimento: la decisione passerà dalla valutazione delle intenzioni di Universal, e da come saprà dimostrare di aver tenuto conto della possibilità che il video sia stato condiviso nel contesto dell’uso legittimo.
Gaia Bottà