Rivendicano un brevetto su certi link

Rivendicano un brevetto su certi link

Non sono degli sconosciuti, sono gli agguerritissimi legali di Acacia Research, che da anni incassa con i suoi brevetti sullo streaming video e su altre cosucce di primo piano. Ora è il momento dei link
Non sono degli sconosciuti, sono gli agguerritissimi legali di Acacia Research, che da anni incassa con i suoi brevetti sullo streaming video e su altre cosucce di primo piano. Ora è il momento dei link

“No, tutto ma Acacia Research no!” Questo dev’essere stato il primo pensiero dei legali di Oracle, Corel, Kodak, Nuance, Borland e Novell nei giorni scorsi, ricevendo una citazione per violazione di brevetto sui collegamenti ipertestuali . Un incubo ben radicato nelle menti di tutto il mondo ICT, che nel tempo ha imparato a conoscere l’azienda che ha fatto della rivendicazione di brevetti un ricchissimo business.

In questo caso la denuncia è stata depositata in Texas dalla sussidiaria Disc Link per violazione del brevetto 6,314,574 , assegnato nel 2001. Come riporta Ars Technica “il brevetto è farcito con gergo piuttosto vago più di un tacchino del Ringraziamento”. Disc-Link, però, sembra avere le idee chiare: l’invenzione riguarda “prodotti venduti o distribuiti tramite CD o DVD che includono link per ricevere ulteriori contenuti dal Web”.

Il brevetto indica un sistema che riguarda la distribuzione di contenuti attraverso un broadcasting (satellitare o di altro genere) uni-direzionale. Oltre a questo l’utente può richiedere dei contenuti di suo interesse sfruttando un altro canale bi-direzionale (un modem).

L’azienda statunitense non è nuova a queste battaglie “impossibili”. Nel 2003 grazie al suo brevetto sul video streaming online e il video-on-demand è riuscita a far chiudere 42 siti porno, raccogliendo poi ricche royalty per la riapertura. Nel 2004 ha negoziato altri dollari per le sue procedure di log-on a reti wireless. Nel 2005, poi, ha inguaiato per altri brevetti, correlati a tecnologie presenti nei processori, prima Intel e Texas Instruments , e poi AMD .

Questa volta però il fronte delle difese è unito. Anche Electronic Frontier Foundation è scesa in campo inserendo l’azienda texana nella lista nera del suo Patent Busting Project , una sorta di iniziativa online “per proteggere l’innovazione e la libera espressione”, nonché la comunità, dalle denunce ridicole di violazione brevetti.

Dario d’Elia

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Pubblicato il
20 apr 2007
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