QRIO , uno dei più avanzati esperimenti di robotica personale intrapresi da Sony e mai divenuto un prodotto commerciale vero e proprio, ha dimostrato che nei rapporti umani, in particolare per i bambini più giovani, il senso del tatto ricopre un ruolo vitale nel riconoscere gli sconosciuti come persone amichevoli . E che, per le nuove generazioni di androidi, il tocco è una componente chiave esattamente come il riconoscimento ottico e le funzioni di sintesi vocale.
Mani che toccano, accarezzano il viso, abbracciano sono una caratteristica tipicamente umana, di importanza capitale per una crescita sana dei bambini prima e di un rapporto sincero con gli adulti poi. Senza la mediazione di voce, parola e linguaggio, il tatto può veicolare più appropriatamente le sensazioni del corpo, rivelando in pieno quanto potrebbe perdersi per mezzo di sensi schiavi delle consuetudini culturali e ambientali .
Una versione basilare di tale caratteristica è stata appunto implementata in QRIO, che è stato poi “integrato” in una classe di infanti tra i 18 e 24 mesi di età. Grazie alla sua capacità di reagire alle attenzioni tattili dei bambini, QRIO ha superato il limite tradizionale di 10 ore medie entro il quale un robot mantiene alto l’interesse degli esseri umani.
QRIO è stato sostanzialmente dotato di un senso del tatto molto rudimentale, in ragione del quale ogni volta che i bambini lo toccavano il robot rideva. “Questo ha cambiato tutto”, sostiene il responsabile dello studio Javier Movellan, della University of California, San Diego. Il robot è stato accettato dalla classe come un membro alla pari per i cinque mesi della durata dell’esperimento.
L’età dei soggetti impiegati nel test non è stata poi scelta a caso: a quello stadio di crescita i bambini non hanno alcuna nozione di cosa sia un robot, e il senso del tatto è quello più usato per comunicare tra di loro e con gli adulti. “Ci sono stati pochi bambini che hanno dimostrato molto interesse ma hanno comunque mantenuto le distanze” dice Movellan, che nota come “nel tempo, la relazione tra i bambini e QRIO si è sviluppata positivamente”.
Lo studio è passato per tre diverse fasi, ciascuna composta da un numero variabile di sessioni: nella prima fase, durata 27 sessioni, QRIO è stato programmato in modo da interagire con gli infanti nel pieno delle proprie facoltà robotiche, inclusa la capacità di muovere la testa, di danzare e ridere. Se il primo istinto delle piccole cavie è stato quello di toccare il robot sulla testa, ben presto hanno preso a toccarlo sulle mani e sulle braccia . Un comportamento che rispecchia fedelmente quello che i bambini hanno tra loro, e che dimostra l’accettazione dell’automa come un vero e proprio pari.
Nella seconda fase, di sole 15 sessioni, QRIO ha al contrario danzato per tutto il tempo ignorando completamente i bambini, che hanno ben presto perso interesse nel ballerino solitario. Interesse che è subito tornato nella terza fase, in cui il robot ha ripreso ad interagire con i piccoli, che sono stati ben felici della cosa. Al punto da piangere una volta che QRIO aveva esaurito le batterie e se ne stava al suolo senza dare segni di “vita”. Qualcuno lo ha anche riparato con una coperta dicendogli ” nigh-nigh “.
Lo studio dimostra chiaramente l’importanza del tatto nelle capacità sensoriali dei robot : “QRIO era un po’ come C1-P8”, sostiene Movellan citando il celebre robot-scatolotto di Guerre Stellari; “Esprimeva emozioni ma non la parola” dice lo studioso, che si dice infine convinto che la sensibilità al tocco delle mani, “relativamente semplice” da implementare in un organismo cibernetico, si sia dimostrata grazie a QRIO l’elemento più rilevante nell’interazione sociale tra uomo e macchine intelligenti.
Alfonso Maruccia