Un nuovo studio elaborato dagli economisti del MIT Daron Acemoglu e Pascual Restrepo intitolato “Robots and Jobs: Evidence from US Labor Markets” pone l’accento su come i robot stiano danneggiando il panorama del mercato del lavoro screditando un po’ per volta i lavoratori umani. La disamina su come il panorama sia cambiato negli USA per effetto dell’introduzione dei robot nei luoghi di lavoro si riferisce al lasso temporale compreso tra il 1990 e il 2007. La presenza delle macchine avrebbe causato, nelle aree in cui l’esposizione del fenomeno è stata elevata, una consistente riduzione dell’impiego e dei salari .
“I robot stanno uccidendo i nostri lavori” ha recentemente ribadito Robert D Atkinson, presidente e fondatore della Fondazione per l’Information Technology e l’Innovazione. L’automazione starebbe riducendo in maniera esponenziale i costi relativi alla crescente produzione di prodotti e servizi, penalizzando però l’uomo.
Effettivamente la presenza dei robot in alcune industrie è diventata pervasiva. Come ricorda la Federazione Internazionale di Robotica, ci sono tra 1,5 e 1,75 milioni di robot che operano in giro per il mondo . L’industria dell’auto li utilizza per il 39 per cento, l’industria dell’elettronica per il 19 per cento, l’industria metallurgica per il 9 per cento, percentuale simile anche per l’industria chimica. E le percentuali, così come le industrie interessate a un approccio robotico, sono in costante aumento. Secondo IDC , entro il 2019 il 35 per cento delle organizzazioni produttive e di servizi di tutto il mondo migreranno alla robotica.
Oltre a evidenziare la sempre più massiccia presenza dei robot, i ricercatori hanno sviluppato simulazioni ed elaborato previsioni che suonano poco rassicuranti. Ogni robot aggiunto alla forza lavoro su mille lavoratori riduce la percentuale di occupazione della popolazione di circa lo 0,34 per cento. Traducendo più concretamente, ogni nuovo robot riduce la necessità di ricorrere a lavoratori in carne ed ossa di ben 5,6 unità . Entro il 2025 l’esercito di lavoratori “senza cuore” toccherà una quota oscillante tra i 4 e i 6 milioni. Il tasso di disoccupazione relativo potrebbe essere compreso tra 0,94 e 1,76 per cento, mentre i salari potrebbero rallentare la loro crescita per una percentuale compresa tra l’1,3 e il 2,6 per cento.
Per non rimanere inermi e sorbire passivamente la rivoluzione, che alla lunga penalizzerà l’intera società, i ricercatori suggeriscono di agire regolamentando il mercato del lavoro attraverso l’introduzione di programmi di riqualificazione per i rimpiazzati da robot oltre che la revisione del sistema di istruzione , affinché gli insegnamenti tecnici vengano adeguati alle esigenze dei nostri tempi.
Già qualche tempo fa anche Bill Gates aveva espresso perplessità sulle modalità non regolamentate con cui i robot stanno rimpiazzando i lavoratori. L’ex CEO di Microsoft aveva posto l’accento sulla necessità di valorizzare l’uomo in lavori con una valenza sociale elevata, dove quindi la persona può effettivamente vincere la concorrenza con i robot (anche se i progressi dell’ intelligenza artificiale potrebbero dare comunque del filo da torcere) e vagliando l’ipotesi di tassare i robot impiegati.
La mancata gestione oculata del fenomeno (compresa una chiara regolamentazione ) potrebbe comportare gravissimi danni all’occupazione, dato che il processo è solo all’inizio. “I robot stanno creando una crescente produttività, ma non stanno creando posti di lavoro” – ha affermato uno dei ricercatori. Le cose potrebbero cambiare tra qualche decennio, dopo una fase di assestamento, ma nel frattempo i disagi sono e continueranno ad essere elevati. Il problema questa volta è che non si tratta di tecnologia complementare. Quando sono stati introdotti i PC nei luoghi di lavoro, questi erano visti come strumenti utili all’uomo. Nel processo odierno, il robot può fare a meno dell’uomo . Lo sanno bene i 60mila operai della Foxconn rimpiazzati dalle macchine nella primavera dello scorso anno, giusto per fare un esempio.
Mirko Zago