Roma – Sono centinaia di miliardi i dati personali conservati da aziende ed enti anche se non è necessario e la situazione è assolutamente preoccupante per quanto riguarda i gestori telefonici: solo in Italia infatti si tengono per anni e anni i tabulati delle chiamate effettuate e questo rappresenta un notevole rischio per la privacy di ciascuno. A rilanciare nuovamente lo scottante problema è Stefano Rodotà, il Garante della Privacy, ancora una volta impegnato a denunciare una situazione che non è cambiata nonostante i suoi numerosi appelli in questi anni.
“Ci si avvia – ha dichiarato Rodotà in occasione della relazione annuale del Garante – verso una soglia di 500 miliardi di informazioni personali conservate, considerando le sole chiamate in uscita”.
Rodotà mette l’accento sul fatto che questi dati, basati su quelli forniti soltanto dai maggiori operatori di telecomunicazione, sono oggi conservati in Italia per molto più di un anno, considerato “periodo limite” nella maggioranza dei paesi occidentali. E dati così pervasivi e così a lungo conservati possono consentire di creare vere e proprie “mappe” delle relazioni personali di un individuo attraverso l’individuazione dei suoi contatti telefonici. Uno degli elementi chiave, in questo senso, è il ricorso massiccio agli SMS, strumento che non è solo di comunicazione personale ma anche sempre più di marketing e dunque oggetto di interessate profilazioni.
Ma questo è solo uno dei problemi. Il punto chiave, secondo Rodotà, sta infatti nella mancanza di una reale presa di coscienza, di una vera consapevolezza sulla delicatezza della “questione” dati personali e dell’importanza della loro riservatezza. Una consapevolezza con cui il legislatore e non solo il cittadino dovrebbe affrontare i mutati scenari, quelli nei quali si fanno avanti nuove tecnologie di identificazione, ad esempio quelle biometriche, o quelli segnati dal previsto avvento della carta di identità elettronica. Senza parlare, poi, della diffusione ad oltranza delle telecamere di controllo nelle città italiane, secondo il progetto previsto dal ministero dell’Interno.
Ma quella di Rodotà appare sempre più una battaglia contro i mulini a vento . Si tratta infatti di dichiarazioni simili a quelle già rese in passato ma che, fino a questo momento, si sono scontrate con il silenzio da parte delle autorità legislative. Rodotà anche in questa occasione ha peraltro ribadito che il Parlamento non deve “rimanere assente di fronte a mutamenti quantitativi e qualitativi delle raccolte di informazioni personali come i dati biometrici o del traffico telefonico”.
“Pensiamo che il Parlamento – ha spiegato il Garante – debba discuterne, prima che superficiali infatuazioni tecnologiche e pressioni commerciali chiudano la società in una insidiosissima gabbia d’acciaio e determinino improprie spinte verso la generalizzazione dei sistemi di controllo”. Secondo il Garante questa generalizzazione trasforma “tutti i cittadini in sospetti” e può “generare diffidenze reciproche che potrebbero determinare conflitti, e dunque nuove insicurezze”.
A rendere la situazione ancora più complicata, inoltre, sono anche le pulsioni in senso totalmente opposto a quello indicato dal Garante, come quelle espresse nelle iniziative CCD-CDU che puntano al mantenimento per anni dei log…
Rodotà ha anche spiegato perché su migliaia di siti nelle scorse settimane sia “passato” un motore del Garante a raccogliere e indicizzare pagine su pagine. Ecco i dettagli.
Al centro delle valutazioni del Garante su Internet c’è l’esame che è ancora in corso dei dati prelevati dai primi 100 siti italiani e da migliaia di altri siti: in queste settimane, come può testimoniare anche Punto Informatico insieme ad alcuni webmaster che hanno scritto alla redazione, il Garante ha prelevato migliaia di pagine per comprendere come sia attuata la legge sulla privacy sui siti italiani.
“I problemi dell’informazione e del consenso, del controllo sulle utilizzazioni dei dati raccolti, diventano particolarmente rilevanti – ha affermato Rodotà – quando si entra nella dimensione della rete. Abbiamo svolto un’indagine sui siti web operanti in Italia che, per dimensioni, non ha precedenti in altri paesi, e che ha avuto come obiettivo la verifica delle loro effettive politiche di privacy”.
Stando alle dichiarazioni di Rodotà, l’attività di monitoraggio ha riguardato circa 650.000 siti ed è stata condotta attraverso strumenti di raccolta automatica dei dati e di analisi successiva su base statistica. “L’indagine è stata approfondita – ha spiegato – grazie ad una analisi su cento siti tra quelli più visitati, con esame approfondito del sito e compilazione di una dettagliata scheda statistica”.
“I risultati di questa indagine – ha continuato Rodotà – che saranno resi noti in dettaglio nelle prossime settimane, mettono in evidenza notevoli e diffuse inadempienze rispetto alle norme sulla protezione sui dati personali. Le informative sono spesso incomplete; la richiesta di consenso è generalmente “omnibus”; l’indicazione dei responsabili è carente; vi è spesso discordanza tra le conseguenze dichiarate dal gestore e quanto accade effettivamente nel caso di mancata prestazione del consenso da parte dell’utente; i diritti di quest’ultimo spesso non sono elencati, e ci si limita ad un rinvio all’art. 13 della legge. Al tempo stesso, viene svolta un’intensa attività di profilazione di massa dell’utenza web, in forme che sono state più volte criticate in sede europea”.