Se ne sta parlando in questi giorni tra operatori di connettività: le attuali normative italiane indicano che è necessario ricorrere ad un tecnico autorizzato in modo specifico per l’installazione anche domestica di semplici dispositivi di connettività, come un router.
Ad affermare questo obbligo non è una nuova normativa capestro ma un’ormai vecchia disposizione contenuta nella legge 28 marzo 1991, n. 109 che con il suo decreto attuativo regolamenta la realizzazione e la manutenzione di impianti di fonia e/o dati collegati alla rete pubblica.
Quando si parla di impianti, spiegano a Punto Informatico alcuni operatori, di fatto non vengono differenziati quelli industriali da quelli domestici, il che vorrebbe dire che sono assoggettati alle stesse norme sia un router domestico che una web farm di un provider.
All’articolo 1, la legge spiega che gli impianti possono essere realizzati solo dalle aziende autorizzate e che, se ciò non avviene, si è puniti “con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire dieci milioni.”
Il decreto di attuazione spiega però che l’utente qualcosa può fare da sé ma soltanto per apparati con “capacità non superiore a due linee urbane, qualora l’allacciamento alla terminazione della rete pubblica richieda il solo inserimento della spina nel relativo punto terminale”.
“L’espressione – spiegano gli operatori – non è chiarissima, ma inquadrata nel contesto della legge significa che fino ad un paio di telefoni li puoi installare da solo, perché per farli andare basta inserire la spina nella presa. Non c’è nulla da configurare ed è un’operazione a prova di tonto. Qualunque cosa vada oltre, come ad esempio un centralino telefonico per quanto piccolo o una rete locale con un router, deve essere realizzato da chi di dovere. Altrimenti multa a partire da 1 milione delle vecchie lire”.
Andando oltre nell’esplorazione della normativa, evidentemente obsoleta, si scopre che qualunque impianto dati con capacità superiore ai 128 kbit/s (cioè la capacità di due canali B di una linea ISDN) non può essere realizzato dall’utente finale . Il che si traduce nel fatto che sulla carta un modem ADSL non può essere installato da un utente. E se questo non bastasse, ogni installazione richiede di compilare l’ allegato 12 in triplice copia, che l’installatore deve consegnare all’utente, all’operatore telefonico e all’ispettorato territoriale, pena una multa da un milione di lire in su.
“Leggendo l’ allegato 13 – spiega a PI un operatore che ha chiesto di rimanere anonimo – tralasciando la strumentazione obsoleta e la “scorrelazione” tra competenze tecniche ed impianti da realizzare – saltano agli occhi i requisiti di idoneità per potere realizzare reti in fibra ottica e/o radio (primo grado), tra cui “l’impresa interessata deve dimostrare di possedere… otto unità addette all’esecuzione dei lavori… cinque automezzi di cui due autofurgoni”.
“Se si considera che per realizzare una rete wireless o in fibra ottica ormai servono apparati e strumenti dal valore irrisorio – continua l’operatore consultato da Punto Informatico – si fa molta fatica a capire cosa c’entrino gli otto dipendenti ed i cinque automezzi, se non per organizzare delle gare automobilistiche nel parcheggio aziendale. Si tratta chiaramente di una normativa finalizzata a fotografare una situazione, più che a fornire delle linee guida per un accesso ad un settore economico. Se sei già grande, resti grande; se sei piccolo, ci muori”. Va detto però che a sentire le esperienze di operatori e clienti, a questa legge talvolta qualcuno fa espresso richiamo. Succede di rado, spiegano gli operatori, soprattutto quando su un grosso cliente vengono a collidere due o più aziende concorrenti. “Io c’ho questo, lui fa quell’altro, io c’ho il “patentino” e lui non ce l’ha”, sottolinea un esperto – “Diciamo che era l’asso nella manica delle aziende autorizzate quando non riuscivano a strappare un contratto, perché il cliente passava ad una azienda di networking, magari anche molto competente, ma priva di “patentino”.”
Visto che gli ispettorati fanno le ispezioni solo su denuncia – questa la preoccupazione degli operatori – “il DM 314 è una fantastica legge da usare a piacere, per le spiate ed i dispetti più beceri e per stroncare la concorrenza delle aziende informatiche che promuovono soluzioni VoIP”.
In che modo? Continua l’esperto consultato da PI: “Se devo realizzare un impianto da 100.000 euro, faccio valere patenti e patentini. Se si tratta di un router da 50 euro, non mi straccio le vesti se l’utente se lo installa da solo, perché tanto 4/500 euro per l’installazione non riuscirò mai a prenderli”.
E il Ministero che fa? Questo è quello che si chiedono gli operatori in queste ore, visto anche che gli ispettorati territoriali non sembrano accorgersi degli allegati 12 che non vengono consegnati e che di fatto dovrebbero arrivare loro per ogni impianto voce o dati che venga realizzato. In ballo, sulla carta , ci sono milioni di utenze e multe per miliardi di euro…
“Dovrebbe far saltare sulla sedia la consapevolezza che collegare alla presa telefonica il router appena tirato fuori dalla scatola mi potrebbe costare da 500 e 5000 euro – continua l’esperto – dovessi stare antipatico al vicino di casa. È grottesco come nel Regno Unito normative simili siano state abolite già dal ’96 per le reti fonia, mentre non è mai esistita alcuna limitazione per le reti dati”.
Toc Toc. Ministero TLC? C’è nessuno?