Proprio nei giorni in cui gli occhi di tutto il mondo sono puntati sul Cremlino per le tensioni legate all’Ucraina, a Mosca si torna a parlare di criptovalute. A farlo è il Ministro delle Finanze (Anton Siluanov), rendendo nota la volontà di considerare le proposte avanzate dalla banca centrale del paese in merito alla definizione di un impianto normativo sugli asset digitali. In altre parole, la Russia si appresta a disciplinare la circolazione di Bitcoin e delle altre monete virtuali.
Il destino incerto delle criptovalute in Russia
Il tema è tornato d’attualità nel fine settimana, nonostante le questioni legate al conflitto con Kiev. La causa è un documento presentato lo scorso venerdì proprio da Siluanov. Nel testo, la bozza di un regolamento che andrebbe a normare lo scambio delle crypto, mentre i vertici della Central Bank invocano a gran voce un ban totale, sia sul trading sia sulle operazioni di mining. Nel mezzo della discussione il parere di Vladimir Putin, che ha chiesto alle parti di giungere a un compromesso.
La visione del Ministro è quella che punta a consentire ai cittadini russi l’impiego delle criptovalute come strumento di investimento, ma non di pagamento. La proposta mira all’introduzione di paletti studiati in modo da impedire abusi o distorsioni del mercato. Tra questi, l’obbligo di identificazione per tutti coloro che acquistano o vendono gli asset.
Un test per investire in Bitcoin e crypto
Al vaglio inoltre l’ipotesi di consentire l’attività entro i propri confini solo agli exchange esteri che ottengono una licenza. Ancora, si valuta la possibilità di sottoporre ai cittadini interessati un test di alfabetizzazione finanziaria, così da tener conto delle competenze sul tema e stabilire se siano pronti o meno per il trading. A coloro che otterranno il via libera, sarà concesso di scambiare fino a 600.000 rubli (circa 6.700 euro) in monete virtuali ogni anno. Per gli altri, i bocciati, il limite sarà molto più basso, fissato a 50.000 rubli (560 euro) sempre su base annuale.
Come già accennato, il pugno duro invocato dalla banca centrale mira invece a mettere fuori legge anche il mining. Il motivo? Le operazioni legate alla gestione dell’infrastruttura decentralizzata su cui poggiano le crypto sono ritenute eccessivamente energivore. Un aspetto già più volte finito al centro di un acceso dibattito.