La società russa MCST (Moscow Center for SPARC Technologies) ha commercializzato Elbrus-4S , ultima versione di una tecnologia di computer risalente agli anni ’70 e tradizionalmente usata da Mosca in ambito spaziale, nucleare o militare. La nuova CPU è però in grado di fare molto di più, anche in ambito domestico o professionale, grazie a un computer completo ( ARM-401 ) costruito attorno alle sue caratteristiche.
Prodotto dalla fonderia taiwanese TSMC con un processo produttivo a 65 nanometri, Elbrus-4C (o Elbrus-4S) è un processore quad-core con frequenza di clock da 800MHz e DSP integrato, potenza di picco da 25 Gigaflops con precisione a 64-bit, 986 milioni di transistor e consumo energetico di circa 45W.
Il chip russo è basato su un’architettura proprietaria chiusa ma, grazie a una traduzione “al volo” del codice tramite virtual machine che ricorda la tecnologia Crusoe di Transmeta , è anche in grado di far girare software per CPU x86; il layer di compatibilità con i chip “occidentali” permetterebbe al processore di far girare senza problemi – performance a parte – i sistemi operativi Microsoft da Windows XP in poi.
Se il confronto tra le capacità tecnologiche di Elbrus-4C e una CPU quad-core x86 di Intel è complicato viste le variabili in gioco, dal punto di vista dei costi le due offerte sono piuttosto facili da soppesare: il succitato computer ARM-401 costa la bellezza di 200.000 rubli, vale a dire oltre 3.500 euro; MCST promette di ridurre sensibilmente il prezzo del sistema entro la fine dell’anno.
Come il continuo sviluppo di una tecnologia come Elbrus sta a dimostrare, la volontà di autarchia tecnologica dell’ex-fronte “rosso” delle nazioni asiatiche è un’idea che viene da lontano ; a voler fare a meno dei componenti informatici è prevedibilmente anche la Cina, un paese che pensava a una propria CPU (Loongson) molto prima di incorrere nel protezionismo americano sui chip Xeon di Intel . Non è un caso, in tal senso, che Russia e Cina abbiano da poco stretto un patto di collaborazione e non belligeranza contro le tecnologie telematiche in grado di “destabilizzare” l’ordine pubblico.
Alfonso Maruccia