E se dietro la burrascosa scena politica italiana vi fosse lo zampino del Cremlino? Dopo lo scandalo del Russiagate sull’ingerenza russa nelle elezioni politiche statunitensi a colpi di propaganda online per favorire il candidato repubblicano Donald Trump, il sospetto che la stessa regia si fosse verificata anche nella scena elettorale italiana è balzato nelle scorse ore agli onori della cronaca.
Il quotidiano La Stampa ha rilanciato una notizia di politica interna dai toni particolarmente forti, e che lascerebbe alludere ad influenze russe di cui anche l’intelligence americana (e conseguentemente anche quella italiana) sarebbe stata a conoscenza: “L’allarme dell’intelligence americana sull’offensiva russa per influenzare la politica italiana era scattato nell’autunno del 2016, quindi molto prima che le operazioni di Mosca per condizionare le presidenziali USA diventassero note” – racconta il giornale. Alcuni partiti politici italiani si sarebbero trovati quindi invischiati in un meccanismo di manipolazione della scena politica finora poco noto in Italia.
A quanto pare lo stato di gravità era stato considerato dall’intelligence statunitense così elevato da richiedere un intervento urgente delle istituzioni . “La preoccupazione di Washington era così alta, che il dipartimento di Stato inviò una missione a Roma per informare del pericolo i colleghi dell’ambasciata di Via Veneto. Lo scopo non era discutere se il Cremlino stesse cercando di manipolare la scena politica italiana, ma come reagire ad un attacco già reale e in corso”. Ad un anno di distanza la vicenda torna in auge e in maniera prepotente, proprio per un rinnovato interessamento della politica, e in vista delle elezioni.
Secondo il New York Times , i due partiti più invischiati nel caso sarebbero il Movimento Cinque Stelle e la Lega Nord . Secondo alcuni controlli, numerosi siti delle citate fazioni politiche, ospiterebbero lo stesso identico codice Adsense . E lo stesso codice identificativo dell’account pubblicitario si troverebbe anche in altri siti vicini a Putin e al governo russo, siti che tra l’altro non avrebbero fatto sconti per quanto riguarda la diffusione di fake news . Secondo la ricostruzione quindi, dietro agli spazi Web vi sarebbe sempre lo stesso soggetto o gruppo di soggetti impegnati in un’opera di manipolazione delle informazioni . Alcuni dei domini coinvolti sono noiconsalvini.org , info5stelle.info , videoa5stelle.info , IoStoConPutin.info , mondolibero.org .
La vicenda è stata plaudita da Matteo Renzi, che dal palco della Leopolda ha attaccato: “Vi abbiamo sgamato, amici dell’opposizione”. Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, è intervenuto avanzando dubbi circa l’implicazione dell’ex premier su tutta la vicenda. Secondo il giornalista, Renzi avrebbe appreso le informazioni che hanno scatenato il caso da un suo fidato consulente informatico, il ventitreenne Marco Carrai, titolare dell’agenzia di cyber sicurezza Cys4 . La stessa agenzia da cui sarebbe partita l’indagine del New York Times.
Il Movimento Cinque Stelle non ha esitato a difendersi, puntando il dito contro il New York Times che si sarebbe lasciato abbagliare dalla storia per favorire politicamente l’avversario . “Le inchieste giornalistiche internazionali che indicano nel Movimento 5 stelle il beneficiario della produzione di fake news sono finalizzate a rilanciare il PD e Matteo Renzi” – si legge sul blog di Beppe Grillo – che continua: “Il New York Times e il sito di notizie Buzzfeed pubblicano, a distanza di tre giorni tra il 21 e il 24 novembre, due presunte inchieste giornalistiche , secondo le quali l’Italia sarà il prossimo obiettivo di una campagna di fake news. Nel mirino dei due quotidiani, ovviamente, non poteva che esserci il M5S. Le due inchieste arrivano, guarda il caso, alla vigilia della Leopolda” – aggiungendo che anche le fonti della ricerca, per l’appunto membri di una società di sicurezza amica di Renzi, sarebbero piuttosto dubbie. I 5 Stelle insistono nel definire l’intera vicenda “un giochino apparecchiato su misura al segretario del PD, oramai in caduta libera”.
Dall’ufficio stampa di Salvini è arrivata invece una smentita dai toni più pacati. Luca Morisi, consulente per l’area digitale, riconduce la questione dello stesso codice pubblicitario al mero fatto che il realizzatore del sito http://noiconsalvini.org , ex sostenitore del Movimento Cinque Stelle, avrebbe copiato e incollato parte dello stesso codice senza avere la premura di apportare le corrette modifiche. Un errore di distrazione quindi, trascinatosi appresso anche da altri siti come nel caso di http://IoStoConPutin.info ).
Interpellata dal New York Times, Google ha messo in guardia su considerazioni un po’ troppo affrettate: “Non abbiamo dettagli sugli amministratori del sito e non possiamo speculare sul motivo per cui hanno lo stesso codice dell’annuncio. Qualsiasi editore che utilizza la versione self-service dei nostri prodotti può aggiungere il codice al proprio sito. Spesso vediamo siti non collegati che utilizzano gli stessi ID, quindi non è un indicatore affidabile che due siti siano connessi”.
Ci vorrà del tempo per stabilire da che parte sta la verità. Ma il fatto ha dimostrato per l’ennesima volta che anche nel nostro Paese urgente porre l’accento sul rischio di manipolazione e falsa informazione , così come sulla necessità che le piattaforme online siano artefici della garanzia di trasparenza per gli utenti. Facebook si è già mossa in tal senso confermando che in previsione delle elezioni politiche nel nostro Paese “si sta dotando di un team qualificato pronto a gestire le segnalazioni e prendere le misure opportune”. Ma come fa notare il Garante della Privacy Antonello Soro, non si può nemmeno lasciare che siano i giganti del tech ad essere investiti esclusivamente del ruolo di controllori : “Da una parte attribuire ai gestori delle piattaforme digitali il ruolo di semaforo, lasciando loro una discrezionalità totale nella individuazione di contenuti lesivi. E dall’altra evitare di immaginare di attribuire ad un algoritmo il compito di arbitro della verità. Mi sembra davvero in controtendenza non solo rispetto alla storia del diritto ma anche della cultura democratica e del buon senso”.
Mirko Zago