Dopo essersi resa complice involontaria nel caso Russiagate, permettendo l’apertura di falsi account e la sponsorizzazione di contenuti propagandistici pro-Trump più o meno velati, Facebook ha deciso, com’ è noto , di collaborare con il Congresso USA. La contestata condivisione di informazioni sugli account coinvolti, che poco è piaciuta ai sostenitori della Reform 702 (ovvero la “legge antisorveglianza”), è stata fatta seguire da diversi interventi volti ad azzerare il rischio di farsi invischiare in futuri in altri casi simili. Il processo di moderazione è stato rivisto, l’approvazione di contenuti politici resa più stringente, è stato rafforzato il team che segue le inserzioni politiche, così come si sono fatti più intensi i rapporti con le istituzioni che tutelano il corretto svolgimento delle elezioni. Per una totale opera di redenzione e trasparenza mancava all’appello ancora una mossa: informare gli utenti direttamente coinvolti nella vicenda .
È la stessa Facebook a dichiarare che vuol farsi paladina della trasparenza con focus specifico sul suo sistema di advertising. Gli inserzionisti d’altronde hanno bisogno di rassicurazioni per continuare a investire massicciamente sul social network (che assieme a Google si spartisce gran parte del mercato pubblicitario sul Web). A tal proposito Facebook rilascerà entro fine anno un tool che in maniera automatizzata consentirà agli utenti di capire se il loro account è stato esposto ai contenuti pubblicati da Internet Research Agency , l’organizzazione vicina al Cremlino che si è resa responsabile della messa online del materiale propagandistico da gennaio 2015 ad agosto 2017.
Ad essere state coinvolte a loro insaputa vi sarebbero oltre 10 milioni di persone raggiunte da tali messaggi (Zuckerberg ha fatto riferimento a 100mila dollari di sponsorizzazioni). Numero che si innalza a 140 milioni se si considerano tutti gli utenti che hanno seguito o messo dei like a pagine compromesse in un periodo di oltre due anni.
Nonostante la presa di posizione di Facebook sia stata ben accolta, qualcuno evidenzia come il nuovo tool sia di fatto molto limitato rispetto alla risonanza del problema. Lo strumento permetterà infatti una verifica puntuale solo a quegli utenti che hanno seguito direttamente uno o più account o pagine create dai “russi” (anche su Instagram), ma non sarà in grado di conteggiare i contenuti sponsorizzati sottoposti all’utente perché magari un amico ha espresso un like, così come non sarà in grado di captare un’eventuale esposizione a messaggi pubblicitari acquistati in concomitanza delle elezioni.
Colin Stretch, consigliere di Facebook ha confermato che “identificare e informare individualmente in maniera affidabile le persone che sono state esposte ai contenuti è una sfida molto più impegnativa”. Il senato statunitense per voce di alcuni suoi membri (come Richard Blumenthal ) ha richiesto un intervento mirato non solo a Facebook, ma anche a Twitter e Google anch’esse coinvolte nel caso (si parla di 131mila tweet e 1.100 video su Youtube). Tutte queste aziende, pur trattando quotidianamente ingenti mole di dati degli utenti, hanno difficoltà a dimostrare quali utenti abbiano effettivamente prestato attenzione ai messaggi propagandistici ; il dato aggregato non può che avere un valore meramente indicativo.
Mirko Zago