Oggi è il Safer Internet Day, meritevole iniziativa che vede coinvolte scuole e istituzioni per tentare di mettere in allerta i più giovani di fronte ai pericoli del Web. Ovunque spuntano consigli e vademecum, decaloghi e moniti, tutti orientati al medesimo obiettivo: ragazzi, alzate le barricate perché là fuori ci sono dei pericoli.
Manca qualcosa, però. Qualcosa di fondamentale. Molte di queste iniziative, sulle quali si investe principalmente per riempire una giornata e un opuscolo per poi chiudere la parentesi e ripensarci nuovamente tra un anno, sono pensate in modo unidirezionale per riversare sui ragazzi diktat e consigli paternali senza un reale coinvolgimento. Non solo tutto ciò rischia dunque di procedere in modo depotenziato e senza raggiungere gli obiettivi formativi preposti, ma soprattutto sussiste il rischio concreto di non rispondere ad una domanda che da sola vale più di tutto il resto: “perché?“.
Perché?
La sicurezza non deve essere coltivata con i moniti, ma con le spiegazioni. Chiunque operi nel mondo della formazione lo sa perfettamente: a qualunque divieto non corrisponde obbedienza, ma solitamente si stimola la contrapposizione. Il diniego dell’autorità, del resto, fa parte della natura dell’essere giovani e violare le regole fa parte della crescita. Ecco dunque che il moltiplicarsi di moniti e consigli non fa altro che creare argini immotivati – e proprio in quanto immotivati, anche estremamente fragili, poiché non supportati da alcuna convinzione.
Questo manca al Safer Internet Day nella maggior parte dei casi: il tempo, la voglia, la capacità ed il tentativo (almeno il tentativo!) di spiegare. Di fronte a qualsiasi “perché?” ci si troverebbe di fronte a problemi troppo ampi e profondi per una sola giornata di discussione. Come può un ragazzino comprendere l’importanza di tutelare i dati personali se non sa come funziona la Rete? Come può una ragazzina capire i pericoli che possono celarsi dietro una chat se non ha mai avuto presente il tema dell’anonimato? Come difendere i ragazzi dal phishing se non sanno come funziona tecnicamente un’email? Come spiegare l’importanza delle password complesse se non si immagina l’esistenza di bot e di server? Come spiegare laddove mancano le competenze basilari per poter elaborare e capire? Troppo facile pensare che i giovani ne sappiano più degli adulti su questo fronte: hanno sicuramente smisurata esperienza, ma farcita di pericolosissima inconsapevolezza: in assenza di nozioni essenziali, che si apprendono solitamente più avanti nell’età, la conoscenza non è tale, ma soltanto empirico insieme di esperienze isolate.
Prima di scrivere queste righe ho avuto la possibilità di parlare in alcune scuole in occasione di Safer Internet Day precedenti alla pandemia. I problemi che i bambini ritenevano di capitale importanza erano la Blue Whale (perché “ne parlano in tv“) e il mostro che si nasconde dietro gli occhi del Talking Tom (perché “me lo ha detto mio fratello“). Generazioni completamente sbilanciate sul digitale che non hanno le basi per poterne capire il funzionamento, ma che sono esposti a teoremi, bufale e complottismo di ogni tipo: un orizzonte che dovrebbe spaventare non poco genitori accorti e attenti, ai quali è richiesto oggi uno sforzo supplementare per ovviare ad una cronica carenza formativa.
Se, infatti, tra il 2019 e il 2020 era più che raddoppiata la percentuale di coloro che raccontavano di essere connessi dalle 5 alle 10 ore al giorno – passando dal 23% al 59% – nell’ultimo anno il dato ha iniziato lentamente a tornare sui livelli pre-pandemia fino alla più recente rilevazione secondo cui il 42% dei ragazzi è stato collegato al web per un tempo medio così lungo. Meno ore su Internet anche per coloro che si dichiarano “sempre connessi”, che scendono dal 18% rilevato nel 2021 al 12% della prima rilevazione del 2022. Il restante 46% degli adolescenti coinvolti nella ricerca, invece, stima di passare online meno di 4 ore al giorno, contro il 23% complessivo di 12 mesi fa.
L’educazione non è un momento, una scintilla, un passaggio del testimone: è un percorso, nel quale c’è una guida e c’è una stretta di mano per accompagnare alla scoperta del mondo per affrontarne le insidie. Educare implica complessità ed empatia, interazione e dialogo, ma soprattutto tempo a disposizione. Educare non significa indicare la retta via, ma spiegare come trovarla in autonomia, come distinguerne le insidie, come superarle e a chi affidarsi in caso di difficoltà.
Il Safer Internet Day, nel suo non poter/saper/voler rispondere alla domanda fondamentale del “perché?” espone il mondo adulto ad una necessaria riflessione: è venuto il momento di inserire in modo strutturale il digitale all’interno dei percorsi di formazione primaria. Non un giorno isolato, ma un cammino guidato. Non si può bussare all’adolescenza senza sapere come funzionano i dispositivi di tutti i giorni e come funziona il mercato dei dati personali, perché il costo che pagheranno sarà in prima persona: la nuova generazione merita un trattamento migliore rispetto alle precedenti, se non altro in virtù della molteplicità di rischi contro i quali dovranno giocoforza impattare.
Sia benedetto il Safer Internet Day, insomma. Ma non basta, non più. Serve altro e presto. C’è una domanda a cui bisogna immediatamente rispondere: questa domanda è “perche?”.