Non è cosa facile scegliere da dove iniziare commentando l’intervento odierno di Matteo Salvini su Immuni. Non è nemmeno cosa semplice difendere l’uscita del leader leghista facendo appello alla sacrosanta libertà di espressione in quanto nei suoi panni si trova nella posizione di influenzare l’opinione pubblica e di conseguenza, in questo caso, alimentare il pregiudizio nei confronti di un progetto di cui potremmo invece beneficiare tutti.
Immuni: liberi di non scaricarla, ma non di contribuire alla disinformazione
In collegamento con la trasmissione Tagadà di LA7 (da 2:50 nel video seguente), alla domanda “Lei l’ha scaricata la app Immuni?” di Tiziana Panella, ha risposto con un secco “No”. Legittimo, la partecipazione all’iniziativa di contact tracing sebbene consigliata non è obbligatoria. Al successivo “Come mai?” segue quanto trascritto.
Non ritengo di essere un pericolo pubblico. E se avessi problemi di sintomi sarei il primo a correre a farmi tutti i controlli del caso. Io sulla tecnologia e sulla messa a disposizione dei dati degli italiani quando c’è una potenza cinese che ormai ci è in casa, ci è sul telefono, ci è in banca e ci è in ospedale, starei molto attento perché la Cina non è una democrazia occidentale.
Francamente non sappiamo da dove cominciare. Anzitutto un’app come Immuni non è pensata né realizzata per chi è un “pericolo pubblico”. È per tutti, per chi si ammala e per chi gli sta intorno. Ancor prima è ideata per coloro che fortunatamente non sono entrati in contatto con il coronavirus, anche per Salvini e gli altri milioni di italiani che non hanno alcuna intenzione di esporsi al rischio contagio.
Ci sarebbe poi da aprire almeno una parentesi su quanto sia giusto, responsabile e di buon senso etichettare come “pericolo pubblico” chi per le ragioni più svariate è stato colpito dall’agente patogeno diventando suo malgrado veicolo di trasmissione. Lasciamo ad altri le valutazione del caso, così come a chi ha maggiore competenza sul tema l’arduo compito di chiarire a Salvini che in caso di sintomi “correre a fare tutti i controlli” non è esattamente la prima cosa da fare. E che gli asintomatici possono diffondere COVID-19.
Vorremmo infine stendere un velo pietoso sull’infelice uscita riguardante la gestione dei dati. L’opinione del leader leghista è semplicemente frutto dell’ignoranza, nell’accezione nobile del termine, si intende. Qualcuno gli spieghi perché Immuni è utile e soprattutto come funziona, così che possa eventualmente continuare a non utilizzarla, in modo però consapevole e senza che la sua notorietà funga da megafono per amplificare la disinformazione.
Abbiamo serie difficoltà anche nel comprendere perché in questo caso sia stata chiamata in causa la Cina che comunque confermiamo, a quanto ci risulta, non è nel frattempo diventata una democrazia occidentale. L’app è italiana e basata su una tecnologia messa a punto da realtà statunitensi (Google e Apple), il suo codice è aperto e a disposizione di tutti coloro che desiderano analizzarlo. Lo scriviamo con il massimo rispetto, senza infierire ricordando la sua presenza su TikTok, controllato dalla cinese ByteDance.
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Il progetto Immuni non è esente da difetti. L’ultimo in ordine temporale è emerso nel fine settimana, un bug che ha impedito il corretto invio delle notifiche di esposizione. I numeri legati alla sua distribuzione sul territorio sono poi al momento troppo esigui perché si possa parlare di un’iniziativa efficace. Non ci si metta però a veicolare un’informazione distorta o falsata da interessi di stampo propagandista: non ne abbiamo bisogno. Qualcuno spieghi a Salvini come funziona l’app (e il COVID).