Samsung ancora nel mirino degli attivisti di China Labor Watch (CLW) e delle loro indagini sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi: ora sotto i riflettori ci finiscono gli agglomerati produttivi la cui proprietà è riconducibile direttamente al colosso coreano.
Nei giorni scorsi Samsung era stata accusata di impiegare minori e di maltrattare i lavoratori per mezzo del suo principale partner produttivo in Cina, ma la società era stata lesta a rispondere con un’indagine interna che aveva evidenziato criticità non conformi alle regole e al minimo rispetto per i diritti personali.
Il nuovo rapporto CLW prende invece di mira le fabbriche di proprietà di Samsung stessa, ciascuna impegnata in un settore produttivo specifico (player MP3, cellulari CDMA eccetera): in tutti gli edifici sono stati trovati lavoratori con età inferiore ai 18 anni o con carte di identità false.
Evidenti e pesanti gli abusi di cui vengono poi accusati i responsabili delle fabbriche e Samsung stessa: ai lavoratori-bambini sono imposti ritmi lavorativi al limite dell’assurdo (turni di 12 ore e un solo giorno libero ogni 30), vengono “somministrati” maltrattamenti psicologici contro cui non hanno mezzi per difendersi, i contratti di lavoro sono incomprensibili o addirittura “imposti” dalle scuole frequentate dai ragazzi in cambio di elargizioni economiche e finanziamenti.
Le fabbriche cinesi di Samsung preferirebbero poi i lavoratori giovani o giovanissimi perché meno propensi a lamentarsi o a pretendere un trattamento più umano, dice ancora il rapporto, fornirebbero pasti gratis solo a chi decidesse di consumarli in loco e costringerebbe i baby-lavoratori a pernottare in dormitori di sei persone per stanza. Si attende, sicuramente a breve, la risposta di Samsung alle nuove accuse degli attivisti CLW.
Alfonso Maruccia