La risposta di Samsung non si è fatta attendere, e di fatto ricalca quanto già detto in passato in una situazione simile: non c’è alcun tentativo di raggirare gli utenti “truccando” i risultati dei benchmark, quanto rivelato da Ars Tecnica e confermato da Anandtech è nient’altro che il normale comportamento tenuto da uno smartphone con CPU multi-core in presenza di carichi elaborativi importanti. Una spiegazione che questa volta non pare molto convincente .
La dichiarazione rilasciata da un portavoce Samsung a CNET UK è la seguente: “Il Galaxy Note 3 massimizza la frequenza di CPU/GPU quando esegue compiti che richiedono prestazioni notevoli. Non c’è stato alcun tentativo di gonfiare il risultato di un particolare benchmark. Restiamo impegnati nel fornire ai nostri clienti la miglior esperienza utente possibile”. In altre parole, se due più due fa sempre quattro, chi sostiene il contrario lo fa in malafede: le rivelazioni di Ars Technica e Anandtech sono dunque da considerarsi bugie? Per quanto la dichiarazione lasci spazio a qualche interpretazione, in questo caso non è difficile smontare le argomentazioni di Samsung .
In linea di massima le CPU moderne, comprese quelle che sono montate negli smartphone, sono in grado di operare con uno o più dei core di cui sono composte a seconda del tipo di carico elaborativo: in pratica, per ottimizzare i consumi, si può spegnere o accendere una parte della CPU a seconda della effettiva necessità di calcolo o del numero di operazioni da svolgere in contemporanea, oppure variare la frequenza di funzionamento in modo dinamico. Dunque effettivamente quello descritto, ovvero l’accensione di tutte e quattro i core dello Snapdragon 800 montato dal Note 3 o l’overclock della GPU del Galaxy S4, potrebbero essere comportamenti normali: peccato che , come svelato da Ars Technica , ci sia nascosta nel codice una vera e propria whitelist di applicazioni con cui mettere in pratica queste “ottimizzazioni”, e cambiando nome all’app benchmark queste “ottimizzazioni” non funzionino.
È quindi Samsung in malafede? Non necessariamente, potrebbe anche trattarsi di un approccio lecito: chi è interessato a spremere fino all’ultimo megahertz dalla CPU, sottoponendo il suo smartphone a un benchmark dopo l’altro, potrebbe gradire che l’elaborazione sia eseguita al massimo delle capacità possibili. Il problema è che questo dice poco o nulla dell’usabilità nella vita reale del terminale: se le app fossero eseguite con lo stesso principio, ovvero sfruttando al massimo processore e memoria a bordo, l’autonomia del terminale sarebbe drasticamente compromessa e probabilmente andremmo in giro con dei tizzoni ardenti in tasca.
In altre parole, se è vero che Samsung (e gli altri produttori colti con le mani nella marmellata da Anandtech ) ha alterato le classifiche dei benchmark, è altrettanto vero che questi benchmark servono poco o niente a descrivere la qualità di un terminale . E il fatto che la CPU A7 di Apple, una delle aziende fino a questo punto uscita indenne da questo scandalo delle ottimizzazioni forzose, si piazzi sempre in cima alle classifiche senza trucchetti non è probabilmente il tipo di pubblicità che ai piani alti gradiranno: sempre che, c’è da ribadirlo, questi numeri interessino a qualcun altro oltre agli hacker e gli smanettoni.
Luca Annunziata