Un nuovo nome si aggiunge alla morsa economica che si sta stringendo attorno alla Russia: Samsung. Si tratta di una decisione molto importante sotto molti punti di vista, indicando quanto forte e compatto si stia dimostrando il fronte internazionale anti-Putin. L’annuncio di Samsung è relativo all’intero mercato del gruppo: dagli smartphone agli elettrodomestici, passando per i chip e i televisori. I ponti tra l’azienda e la Federazione Russa, insomma, saranno immediatamente e completamente chiusi in attesa che l’invasione ucraina trovi nuova e pacifica soluzione.
In primis si tratta di una scelta che denota l’importanza del tagliare fuori la Russia in questo momento di tensione: Samsung ha una quota di mercato decisamente importante in Russia (30% del mercato mobile in loco) e con questa decisione viene giocoforza meno un importante mercato.
Samsung chiude le porte alla Russia
La decisione ha inoltre valore alto in virtù del fatto che, venendo a mancare gli iPhone e i Galaxy, nonché Nokia e altri device mobile, viene oltremodo a comprimersi la possibilità nel Paese di approvvigionarsi di dispositivi ormai essenziali per la vita di tutti i giorni. Un messaggio alla popolazione, prima ancora che al premier: queste sono le conseguenze per quanto sta accadendo in Russia.
Si tratta inoltre di una misura che giunge da un gruppo coreano: non Europa, né Stati Uniti, ma una bandiera ulteriore e di grande peso strategico. Qualunque cosa avesse deciso Samsung, le esportazioni sarebbero state comunque estremamente complesse in virtù del fatto che i trasporti sono ormai bloccati e per chiunque volesse effettuare spedizioni il problema sarebbe gravoso. Le decisioni occidentali e il vasto fronte anti-russo formatosi, insomma, si dimostra estremamente efficace e le conseguenze sono dunque pesanti in virtù del fatto che non lasciano vie d’uscita alle scelte russe.
Samsung si aggiunge dunque alle altre sanzioni tecnologiche imposte al popolo russo e il mercato dei chip vive una ulteriore restrizione. A questo punto è questione di tempo prima che l’intera economia mostri le prime gravi crepe, sulle quali l’Occidente sta contando nella speranza che possano pesare oltremodo sul tavolo dei negoziati.