Pratiche di lavoro non consone che includono lo sfruttamento dei lavoratori oltre il regolare orario giornaliero, ma nessuna presenza di minorenni all’interno delle fabbriche cinesi: queste le conclusioni di Samsung a seguito dei controlli avviati dopo la denuncia di China Labor Watch (CLW), che segnalava, tra l’altro, l’impiego di lavoratori minorenni all’interno delle fabbriche del partner cinese HEG.
Il colosso sudcoreano dichiara di non aver rilevato prove che attestino la presenza di manodopera minorile in nessuna delle 105 aziende fornitrici cinesi: “Nel corso dei controlli, Samsung non ha individuato alcun caso di impiego minorile dopo aver esaminato i dati anagrafici di tutti i lavoratori e aver eseguito controlli di identità faccia a faccia”, precisa l’azienda in un comunicato ufficiale.
Una dichiarazione di innocenza che, tuttavia, non sfugge dall’ ammettere l’esistenza di pratiche di lavoro scorrette nelle strutture cinesi come il numero di straordinari che superano il limite fissato dalle leggi locali e le sanzioni per i ritardi o le assenze dal luogo di lavoro. Per questo motivo, Samsung avrebbe chiesto a tutti i partner industriali cinesi di adottare nuove procedure di selezione del personale utili a risolvere i problemi segnalati dalle organizzazioni in difesa dei diritti dei lavoratori.
Tra le richieste indirizzate ai fornitori figurerebbero il deciso divieto di discriminazione al momento della selezione, l’abolizione del sistema delle sanzioni, la fornitura dell’equipaggiamento adeguato e l’introduzione di regole di sicurezza per il lavoratore, l’installazione di kit di pronto soccorso nelle fabbriche e negli alloggi, e istruzioni per i manager in merito ai casi di “abusi sessuali, fisici e verbali”.
L’impegno mostrato dalla multinazionale sudcoreana nel contrasto allo sfruttamento del lavoro sembra essere dettato dalla volontà di affermare con ogni mezzo la tolleranza zero nei confronti dello sfruttamento del lavoro, e in particolare dell’impiego di lavoratori minorenni, questione che ha causato non pochi problemi d’immagine al brand Apple .
Cristina Sciannamblo