La Commissione per la Protezione dei Dati personali irlandese ha annunciato l’avvenuta conclusione delle indagini condotte negli ultimi tre anni nei confronti di WhatsApp. Il caso, iniziato a fine 2018, giunge ora al termine dopo un complesso percorso e con una sentenza che punisce il gruppo controllato da Mark Zuckerberg con una sanzione da 225 milioni di euro.
WhatsApp, sanzione e appello
Le accuse erano relative al tipo di informazioni gestite da WhatsApp in quella fase ed alle discrasie evidenziatesi a livello di informativa: gli utenti, insomma, non potevano avere piena consapevolezza del modo in cui i dati sarebbero stati utilizzati dal servizio, né potevano avere piena consapevolezza del fatto che tali dati sarebbero stati messi a fattor comune con il social network consociato Facebook.
La prima sentenza dell’autorità irlandese ha stabilito le colpe del gruppo, ma è un intervento dell’autorità europea ad alzare la somma della sanzione fino a portarla oltre i 200 milioni di euro: l’European Data Protection Board ha infatti ravvisato fattori aggravanti che meritano un giro di vite più radicale (elemento che rende peraltro il caso ben più importante di una sola disputa nazionale). Secondo quanto appurato dalla CNBC, WhatsApp avrebbe immediatamente fatto sapere di volersi appellare a questa decisione, al fine di dimostrare la buona fede nei tentativi portati avanti di produrre informative quanto più semplici e complete possibile circa la gestione dei dati personali da parte del gruppo.
WhatsApp ha fatto sapere di ritenere fuori proporzione la sanzione (seconda soltanto a quanto imposto in passato ad Amazon) e tenterà di ribadire le proprie convinzioni in sede di appello: in ballo, con tutta evidenza, non c’è soltanto la cifra della sanzione, ma ben più preziosi principi sui quali si definiranno gli equilibri tra legislatore e Big Tech in tema di privacy negli anni a venire.