” Gamer : comunemente noto come persona che trascorre la maggior parte del proprio tempo libero giocando ai videogame o informandosi riguardo ai videogame”. Una forma di dipendenza? Il sintomo o la manifestazione di un disagio? Una semplice ed innocua passione? Il Council on Science and Public Health che fa capo alla American Medical Association ( AMA ), segnala con disappunto SPOnG , ha stilato un report che assembla lo scibile in materia. Coprendo oltre trent’anni di ricerche, gli autori del documento pongono le basi per valutare se l’abuso di videogiochi sia da considerare una dipendenza, invitano sensatamente i genitori a mobilitarsi, affinché si ritaglino un ruolo più vigile nei rapporti con i figli. E, a sorpresa, propongono di annoverare nei manuali diagnostici una patologia della cui esistenza sembrano però non del tutto certi.
Possibile causa di attacchi epilettici e di patologie che coinvolgono gli arti superiori, esclusivamente presso soggetti predisposti; probabile fattore scatenante di atteggiamenti aggressivi presso gamer reduci da intense sessioni di gioco, ai videogiochi non è però scientificamente imputabile un effetto a lungo termine sui comportamenti degli appassionati. La videoludica, ammettono gli autori del report, si dimostra addirittura positiva in alcune occasioni , l’ambito degli effetti a lungo termine è stato sondato raramente ed in maniera superficiale, e le poche prove di nocività raccolte sembrano essere smentite da studi promossi dalle associazioni di categoria, strenui difensori di un mercato in continua espansione.
Nonostante queste incertezze, a parere dell’AMA urgono provvedimenti: la game addiction , assimilabile alla cosiddetta Internet addiction , con la quale si coniuga nel caso dei più accaniti giocatori di MMPORG , è ricalcabile su altri tipi di dipendenze, ben note da anni a medici e psichiatri. I ricercatori dell’AMA, però, in un atteggiamento contrastante, non si spingono a definire questa abitudine una dipendenza, ma preferiscono definirla un abuso , un abuso che è spesso associato a disagi profondi, come l’emarginazione e l’incapacità di costruire rapporti nella realtà.
Esistono già sistemi di autoregolamentazione che tentano di stilare una valutazione dei videogame e di raccomandarli alle età alle quali ciascun titolo si addice. Una classificazione, quella della Entertainment Software Rating Board ( ESRB ), spesso inefficace nel far presa sui genitori, che, rivela il report, continuano ad essere i principali fornitori di videogiochi inadatti ai ragazzi, nonostante esprimano un’allarmata apprensione. Una preoccupazione che ha anche messo in moto demagogia e provvedimenti, attraverso una macchina legislativa che si è spesso incagliata in accuse scientificamente prive di fondamento e scontrata contro diritti costituzionali .
I suggerimenti offerti dal’AMA? In primo luogo la mobilitazione degli organismi di autoregolamentazione e delle associazioni di genitori, affinché, in un’azione combinata, stilino dei criteri più precisi per classificare i titoli. In secondo luogo, i ricercatori dell’associazione si propongono di operare a fianco di altre istituzioni, per analizzare in maniera coordinata ed in profondità i rischi che il gaming , e più in generale l’esposizione ai media a schermo, possono comportare a lungo termine. Un’analisi che servirà a dare fondamento a campagne informative e di sensibilizzazione a favore dei genitori, che verranno invitati ad operare un controllo sui propri figli in termini di qualità e quantità del gaming , razionando e proporzionando i consumi mediali dei ragazzi, limitando ad un paio d’ore il tempo da trascorrere davanti a schermi di ogni tipo.
La proposta che però suscita più scalpore è il rinnovato suggerimento da parte dei ricercatori di introdurre la “dipendenza da Internet e dai videogame” nella prossima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali ( DSM-IV ), ad uso degli psichiatri.
Qualcuno , su Slashdot , si scaglia contro l’associazione, sostenendo che la prospettiva di integrare questa sorta di dipendenza in un manuale diagnostico, di farla assurgere a patologia ufficiale, sia semplicemente una strategia mossa dal business e dalle lobby delle case farmaceutiche . Una strategia che sembra tradirsi e contraddirsi nel momento in cui i ricercatori ammettono cautamente come siano necessarie ulteriori indagini per accertare che il gaming sia dannoso a lungo termine, che un uso massiccio di videogiochi sia da considerarsi dipendenza, piuttosto che un’innocua abitudine.
Gaia Bottà