Care Sardine,
noi non siamo qui a parlare di politica e lungi da noi il giudicarvi, il tirarvi per la giacchetta, l’etichettarvi o il portare avanti le opere di demonizzazione o santificazione che altri stanno producendo nei vostri confronti – a seconda dell’obiettivo di parte. Ma quando invocate un “DASPO” per i social, così da affossare l’odio, allora siete voi a tirare in ballo noi e noi non ci tireremo indietro.
Noi siamo quelli di Punto Informatico, ma siamo anche molto di più. Siamo quelli che hanno vissuto la prima era dei social; siamo quelli additati da quelli de “il Web è un Far West”; siamo quelli che hanno lottato contro le “leggi speciali per il Web”; siamo quelli che hanno contestato chi ritiene che il Web sia “una fogna“; siamo quelli che hanno vissuto le prime leggi-bavaglio; siamo quelli che difendono in certa misura l’anonimato; siamo quelli che hanno visto passo a passo i tentativi anti-social che dalla peggio politica hanno preso piede negli ultimi anni – possiamo ormai quasi spingerci alla parola “decenni”.
Noi siamo quelli che abbiamo sentito più e più volte puzza di bruciato e che le dita se le son scottate più di una volta. Noi, come voi, non abbiamo bandiere da sventolare: i pericoli li abbiamo visti provenire da ogni dove. Il pericolo una volta vestiva elegante e parlava legalese, ma nelle ultime ore lo abbiamo visto anche in jeans e felpa, parlava semplice e riempiva le piazze. Se possibile, ci spaventa più questo che non quello di prima, perché quello vecchio parlava in corridoi vuoti e lo abbiamo sempre in qualche modo fermato.
Ma quando un ragazzo giovane, identificato da molti come leader di un movimento tenuto insieme da una comunione di intenti, getta sulla piazza l’idea di una “DASPO” per i social, allora ci teniamo sommessamente e fermamente a dire di NO. Sia chiaro, lo facciamo in punta di piedi perché sappiamo quanto sia delicato il momento, perché sappiamo quanto potrebbe essere strumentalizzata questa nostra missiva, perché sappiamo che quando la politica inonda tutto è illusorio pensare di rimanere asciutti. Lo facciamo anche tenendo viva l’idea per cui la dichiarazione possa essere stata estemporanea e poco meditata, ma la nostra reazione arriva a maggior ragione proprio sulla base di questa possibilità.
Vogliamo semplicemente segnare il punto, a futura memoria: no, l’odio in rete non lo si combatte con un “daspo”. Non solo: il concetto stesso di “odio in rete” è fuorviante. Qualora decideste di combattere l’odio ci troverete in piazza assieme a voi, ma se parliamo di odio in rete allora già siamo sulla cattiva strada. Occorre fare qualcosa? Forse. La soluzione è semplice? No. Cosa fare, quindi? Parliamone, leggiamo, approfondiamo, ma non lasciamoci suggestionare dalle scrociatoie di una parola di poche lettere che ci illuda di aver raggiunto l’obiettivo.
Care Sardine, non vogliamo entrare nel merito delle vostre battaglie né vogliamo portare una campagna elettorale sulle nostre pagine. Ma mentre ipotizzate le vostre prime forme di organizzazione, mentre sentiamo tra le vostre fila i primi afflati di ambizione per un futuro di opinione politica strutturata, vi chiediamo anche uno sforzo di immaginazione e non-omologazione. Non riempitevi la bocca di termini come “odio in rete” o “fake news“, perché arrivate da una generazione libera e con la mente sgombra di pregiudizi. Non lasciate che la politica vi travolga con i suoi schemi precostituiti. E se vi chiedono come combattere l’odio in rete, voi rispondete che l’odio non esiste. Esatto: rispondete che odiare l’odio non farà che alimentare una spirale che si autoalimenta. Provate a creare una forza centrifuga costruita sulla vostra libertà d’azione, o rimarrete in trappola.
Perché questo è il destino di una sardina: un mare di libertà o una trappola mortale. La tentazione del “daspo” è un’esca ben mascherata e rischiate di cascarci. Vi abbiamo avvertiti: l’odio online è un amo, a voi la scelta.