Roma – Come annunciato in un precedente articolo su PI, una nuova riforma del diritto d’autore – in particolare sulla disciplina sanzionatoria degli abusi relativi alle trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato, in larga parte coincidenti con la emissioni televisive criptate – è stata definitivamente approvata.
Si tratta della Legge 7 febbraio 2003, n. 22 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 2003 ed in vigore il quindicesimo giorno da detta pubblicazione. Prima di parlare dei particolari dell’ennesimo ritocco operato in materia, è necessaria una premessa relativa ad una disciplina dimostratasi tra le più tormentate.
Già nel 1993, per gli abusi connessi alla fruizione di trasmissioni criptate si erano introdotte sanzioni penali mediante l’estensione del trattamento riservato al software (in particolare, l’art. 171- bis l.d.a.). Con l’entrata in vigore della l. 547/93 sulla criminalità informatica, si iniziarono ad applicare (peraltro, in un orientamento non poco discutibile) anche altre ipotesi di reato come quelle previste dal codice penale nei nuovi artt. 615- quater (Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici) e 617- quinquies (Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche).
Soltanto con la più organica riforma del diritto d’autore (l. 248/2000), le condotte illecite in argomento furono sanzionate da una specifica previsione, quella di cui all’art. 171- octies l.d.a. sempre in affiancamento, secondo taluni interpreti, alle citate fattispecie del codice penale.
Pochi mesi dopo, verosimilmente a causa di un mancato coordinamento legislativo, fu promulgato il d.lgs. 373/2000 (di attuazione della Direttiva 98/84/CE) riguardante tutti i servizi ad accesso condizionato, compresi quelli televisivi. L’effetto fu dirompente: depenalizzazione. In buona sostanza, alle condotte di commercializzazione diretta o indiretta non si applicavano più le sanzioni penali, ma quelle amministrative del decreto. Ciò trovò autorevole avallo anche da parte della Cassazione la quale, nel corso degli ultimi due anni, ha avuto modo di pronunciarsi anche a Sezioni Unite.
Ora, a distanza di due anni, si è tornati alle sanzioni penali. Inequivoco è, infatti, il testo dell’unico articolo della l. 22/2003 di prossima entrata in vigore: “Al comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo 15 novembre 2000, n. 373, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Si applicano altresì le sanzioni penali e le altre misure accessorie previste per le attività illecite di cui agli articoli 171- bis e 171- octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni”.
Il provvedimento, apparentemente di facile interpretazione, presta, però, il fianco a non poche critiche.
A parte il menzionato susseguirsi di norme e trattamenti che compromette una lineare e uniforme applicazione della legge (in un quadro non facilmente comprensibile anche per gli stessi operatori del diritto), la legge in commento, lungi dal fissare un semplice ritorno alle sanzioni penali, in realtà le aggiunge, nella stragrande maggioranza dei casi, a quelle amministrative del decreto di fine 2000. Ciò è chiaro dall’uso dell’avverbio “altresì”. Questo “doppio binario” (penale e amministrativo), non è, di per sé, illegittimo, ma costituisce un caso unico, se si considera la non trascurabile entità delle pene, nella disciplina del diritto d’autore e comunque rarissimo se si guarda a tutto il nostro ordinamento. E, non a caso, la duplicazione delle sanzioni è stata criticata anche in Parlamento.
Si noti, infatti, che la fattispecie penale (art. 171- octies l.d.a.) prevede pene da sei mesi a tre anni di reclusione e da 2.582 a 25.823 Euro di multa; quella amministrativa (art. 6 d.lgs. 373/2000) da 5.165 a 25.823 Euro di sanzione pecuniaria oltre al pagamento di una somma da 52 a 258 Euro per ciascun dispositivo illecito.
Un’altra grave iniquità si osserva nella norma penale (ma non in quella amministrativa) che rischia di colpire, nella medesima misura in cui è punito chi fa commercio di dispositivi illeciti, anche l’utilizzatore privato. Ciò a condizione che, come anticipato a suo tempo su Punto Informatico , non si ritenga applicabile – cosa tutt’altro che pacifica – la sanzione amministrativa senz’altro più contenuta di cui all’art. 16 l. 248/2000.
Queste, per la verità, sono soltanto le storture più evidenti della disciplina così come si è venuta a formare con la legge da poco approvata. Purtroppo, situazioni di emergenza come quella prodottasi in seguito alla depenalizzazione determinata (forse involontariamente) dal d.lgs. 373/2000 difficilmente producono rimedi lucidi, ponderati ed equi.
avv. Daniele Minotti – Genova
http://www.studiominotti.it
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