Guai a parlare di “frammentazione”: Eric Schmidt, in quel del CES di Las Vegas, mette in chiaro la questione una volta per tutte. Quella di Android è una “differenziazione”, non una più negativa e dannosa “frammentazione”: la “differenziazione” è la ricchezza di un ecosistema come Android, dove ciascuno sviluppatore è felice di muoversi liberamente e di modificare ogni dettaglio del sistema operativo “purché non rompa nulla”. La scelta di lasciare mano libera, al contrario della concorrenza, pare molto gradita ai produttori di dispositivi e non solo.
Da mesi ( molti mesi ) il dibattito sul rischio frammentazione per Android e le contromisure di Google al riguardo affolla l’arena del panorama mobile. Con Ice Cream Sandwich , ovvero Android 4.0, Mountain View pare aver preso delle decisioni precise rispetto a queste faccende (e altre ne sta annunciando anche durante il CES): ma è lo stesso Schmidt, intervistato da Molly Wood di CNET , a chiarire che nonostante tutto Android punta a restare quanto più flessibile e manipolabile ci sia in circolazione. “Frammentazione significa che l’app gira su un dispositivo e non sugli altri. Non è quello che sta accadendo ad Android” ha sostenuto il presidente di Google, accantonando la complessa questione delle interfacce utente.
Piuttosto, nella flessibilità di Android e nella possibilità di modificarlo a piacimento, Schmidt vede un vantaggio: “Competizione significa valore, la competizione fa calare i costi”. E il presidente di BigG non è il solo a pensarla così: “Verizon e AT&T non vogliono sette telefoni tutti uguali sui loro scaffali” rilancia il CEO di Motorola Sanjay Jha: “occorre fare cassa”, aggiunge, e per farlo occorre che ciascuno dei prodotti che finiscono in vendita abbia caratteristiche peculiari che attraggano il consumatore. E le differenze tra i prodotti possono essere minime o più significative, e non tutte riguardano l’hardware: oggi più che mai fa la differenza il software , con servizi e app specifiche realizzate direttamente dagli operatori o dai produttori seguendo le linee guide tracciate dai loro partner in affari, è la tesi di Motorola. Sempre che si ritenga una scelta positiva che gli operatori influiscano in modo significativo sulla possibilità di scelta dell’utente finale dei servizi e delle applicazioni a cui abbia accesso.
Ma Schmidt guarda anche oltre il ristretto mercato dei cellulari. E non si parla di tablet o TV, pur settori in cui Google aspira a dire la sua in modo sostanziale, ma di tutta una serie di altri apparecchi domestici che sono papabili per un’automazione spinta. Schmidt cita i frigoriferi come esempi di domotica che incorpora o sta per incorporare Android, a testimonianza dell’apertura davvero aperta dell’OS di Mountain View: e rintuzzando le obiezioni della sua intervistatrice sulla frammentazione, Schmidt lascia intendere che BigG guardi ad Android come un ecosistema che dovrà espandersi a dismisura e nel quale fioriscano i servizi Google, a prescindere dal grado di personalizzazione o dalle profonde modifiche che altri vendor potranno programmare.
Schmidt loda la totale indipendenza di Android dall’hardware, a testimonianza che chiunque possa entrare nel giro e dire la sua. Critica le difficoltà di Microsoft e di Apple nel creare un’offerta complessiva per contenuti, servizi, device: forse pecca un po’ di semplificazione, visto che Microsoft con Xbox è sicuramente molto avanti nella realizzazione di un hub digitale (e altro farà con Windows 8), e che Apple ha migliorato drasticamente la situazione sostituendo MobileMe con iCloud (e ha alle spalle la corazzata iTunes). Il chairman punta però l’accento su un altro aspetto, secondo lui fondamentale: l’apertura è ciò che fa la vera bontà di una piattaforma, e la chiusura la penalizza. Android è aperto ed è vincente (quasi 4 milioni i cellulari attivati a Natale secondo i dati di Schmidt), quando Amazon lo modifica e lo chiude sul Kindle Fire gli pone talmente tanti limiti da risultare quasi perdente. Google, al contrario, col suo nuovo CEO Larry Page sta puntanto tutto su integrazione, interoperabilità e apertura.
“Quando la gente si rende conto di quanto possa risultare significativo un ecosistema del genere rimane stupita. Un ecosistema aperto consente a molti tipi di attori di lavorare assieme. Tutti possono essere vincenti sul piano economico”. In definitiva, Schmidt sceglie di mettere da parte tutte le perplessità sciorinate dagli addetti ai lavori in questi mesi e di prendere in considerazione unicamente gli aspetti positivi di Android: “Tutta questa gente può lavorare tranquillamente senza che tu ne sappia niente o che li controlli. Mettere insieme un ecosistema aperto significa mettere in condizione i creativi, gli sviluppatori, i consumatori di interagire. È così che costruisci qualcosa di tremendamente importante per tutti”.
Luca Annunziata