Un breve faccia a faccia , tenutosi ai due estremi di uno dei più noti tavoli televisivi in terra statunitense. Da un lato, il CEO di Google Eric Schmidt. Dall’altro, il presentatore/comico Stephen Colbert, già nella lista delle 100 persone più influenti stilata dalla rivista Time .
Accomodatosi nel salotto del programma The Colbert Report , Eric Schmidt ha così dato avvio ad un confronto intenso, subito pressato dalle impietose domande di Colbert. È forse sbagliato affermare che Google guadagni gran parte dei suoi dollari rastrellando e poi analizzando l’immensa mole di dati forniti dagli utenti a mezzo search?
“È vero. Noi osserviamo le vostre ricerche – ha spiegato Schmidt – ma ce le dimentichiamo dopo un po’”. “E dovrei crederle sulla base di ciò?”, ha subito rilanciato Colbert. “Dovrebbe farlo – ha risposto il CEO di BigG – È la legge in molte nazioni del mondo”.
La stessa Google ha infatti implementato alla fine del 2009 nuove policy in materia di data retention . Che obbligavano l’azienda di Mountain View a rimuovere dai propri server i vari indirizzi IP degli utenti, nove mesi dopo la loro archiviazione . Le informazioni fornite a mezzo cookie dovrebbero poi sparire dopo un periodo di 18 mesi . Ma Colbert ha espresso più di un’ironica preoccupazione: la Grande G riesce a sapere tutto quello che ci riguarda. Preferenze e abitudini pronte per i vasti meandri analitici del data mining .
“A dirla tutta, non facciamo data mining – ha spiegato Schmidt – I nostri computer escono allo scoperto per trovare tutto quello che succede sul web. Quindi immaginano i vari collegamenti e mettiamo all’opera l’algoritmo chiamato PageRank . È così che decidiamo come fare ordine fra le pagine”.
Secondo il CEO di Google, la raccolta dei dati a mezzo search engine sarebbe comunque inevitabile. Ma la responsabilità dei presunti pericoli legati al data mining non sarebbe da attribuire solo ed esclusivamente dall’azienda di Mountain View. L’intero funzionamento del web prevede il rilascio di dati più o meno personali .
Qui il collegamento – peraltro richiamato dallo stesso Colbert – ad una recente dichiarazione rilasciata da Schmidt al Wall Street Journal . Ogni ragazzo dovrebbe già pensare alla possibilità di cambiare identità una volta divenuto adulto. In modo da evitare che altri possano scoprire a mezzo search dettagli imbarazzanti della propria giovane esistenza online .
“Era una battuta – ha risposto Schmidt non senza qualche difficoltà – nemmeno troppo buona. È vero. Le battute sarebbe meglio lasciarle ai comici”.
Mauro Vecchio