ChatGPT forse non è più nella bocca di tutti in quanto diventato strumento mainstream, non più una vera e propria novità a livello internazionale. Tuttavia, per ricercatori e artisti si tratta di un topic quotidiano. Nel caso dei primi, continuano gli studi sulla sostenibilità dell’intelligenza artificiale e sul consumo energetico degli algoritmo. I secondi, invece, continuano ad attivarsi per impedire a OpenAI di sfruttare illecitamente opere scritte, musicali, quadri e fotografie per addestrare l’IA. A dimostrarlo è la causa recentemente intentata da quattro scrittori.
Scrittori contro OpenAI e ChatGPT: che succede?
Come ripreso dall’agenzia di stampa Reuters, gli scrittori Michael Chabon, David Henry Hwang, Rachel Louise Snyder e Ayelet Waldman hanno ufficialmente avviato una causa nei confronti di OpenAI in quanto questa trarrebbe benefici e profitti da quello che viene definito “uso non autorizzato e illegale” di contenuti protetti da copyright. Ci si riferisce in particolare a opere scritte estrapolate dagli algoritmi per accrescere il vocabolario e potenziare il modello di linguaggio.
La causa, quindi, chiede lo status di class action e afferma che ChatGPT offre riassunti e analisi di contenuti testuali potenti solo grazie all’addestramento del modello su lavori di artisti non contattati da OpenAI: “Gli atti di violazione del copyright da parte di OpenAI sono stati intenzionali e in totale disprezzo dei diritti dei querelanti”, affermano gli autori nella causa.
L’obiettivo del gruppo è quello di chiedere al tribunale di impedire a OpenAI di impegnarsi in “pratiche commerciali illegali e sleali”, riconoscendo al contempo agli autori i danni relativi alle violazioni del copyright e altre sanzioni. Al momento è impossibile trarre conclusioni in quanto la causa è stata depositata recentemente. Di conseguenza, ogni risultato diverrà noto solo tra diverse settimane.