C’è una parola nel vocabolario che è sempre più abusata a livello formale e sempre meno vissuta nella realtà: si tratta della parola “comunità“. La frammentazione (fino alla parcellizzazione) della società ha infatti portato ad un accentuato individualismo che ad ogni strato dell’organizzazione ha creato profonde mutazioni. Così è stato anche nella scuola, sempre meno vissuta nell’ottica antica e sempre più diventata un fatto individuale tra lo studente ed i libri, l’alunno ed i singoli professori, i ragazzi e le singole materie affrontate. Ne consegue un sistema basato completamente su voti che sanciscono il livello raggiunto ed una esasperazione della competitività come univoco motore personale di impegno.
Eppure non è questo il metodo che ha portato alla formazione delle grandi menti dei secoli passati, né è questo uno standard che abbia dimostrato di poter innalzare le capacità cognitive a livello sociale. Anzi.
In questo contesto è nata però una realtà nuova e diversa, in grado di distinguersi in modo sostanziale rispetto alla formazione “tradizionale” poiché se ne differenzia a partire dai principi di base. Si tratta della Scuola 42 (un progetto sostenuto dalla Fondazione CR Firenze), grazie alla quale l’apprendimento del coding diventa qualcosa di completamente diverso.
Dei metodi e delle qualità del metodo 42 abbiamo già raccontato. In seguito abbiamo però avuto modo di parlare con alcuni ragazzi che stanno vivendo in prima persona questo percorso e quel che ne è trapelato è qualcosa di forte e rivoluzionario. Questo qualcosa attinge ad una dimensione parallela, dove il senso della comunità riporta una serie di tasselli perduti nelle dinamiche dell’apprendimento. Qualcosa che vale la pena raccontare.
Scuola 42, apprendimento di comunità
Per chi volesse approfondire in linea teorica quello che sta alla base del metodo 42, potrà cercare online concetti quali Apprendimento Cooperativo o Comunità di Apprendimento. Ma quel che ci interessava in modo specifico in questo contesto era capire come questo tipo di dinamica potesse influire nella quotidianità di una scuola e nel percorso che passo a passo porta gli studenti a diventare programmatori.
Ne abbiamo parlato con Emma, Bianca e Mario: le loro testimonianze dall’interno ci hanno consentito di mettere in luce cosa significhi vivere quotidianamente l’esperienza “42” e come ciò si traduca nel concetto di apprendimento. Una scuola di programmazione gratuita, senza voti, senza esami e senza veri e propri professori è infatti qualcosa da comprendere per poter essere giudicato e preso in considerazione: in ballo c’è qualcosa di completamente nuovo, firmato dall’intuizione di Xavier Niel e declinato in Italia nella Scuola 42 presso l’Innovation Center di Firenze.
Come vi state trovando nella scuola 42?
“Quando me ne hanno parlato la prima volta ed ho saputo che si sarebbe trattata di una scuola gratuita, senza professori né veri e propri esami, ho pensato: è scam? L’Open Day, invece, è stato del tutto convincente e l’esperienza della piscina mi ha definitivamente coinvolta“. Così Emma ci ha raccontato il suo primo impatto, sottolineando fin dalle prime parole la dinamica sociale propria di tutto il percorso: “Si crea immediatamente un senso di comunità con numerosi gruppi di collaborazione attivi per risolvere il problema. Essere insieme ti dà subito la consapevolezza di essere immersa in un gruppo con problemi simili e quindi con le stesse necessità“.
Quel che Bianca ricorda delle sue prime ore in 42 è stata una maturata consapevolezza: “ti rendi subito conto di cosa vorresti andare poi. Questo ti consente in seguito di crescere come vuoi poiché l’unica cosa che conta davvero è raggiungere l’obiettivo“. Ma anche qui, a trapelare è immediatamente la connotazione comunitaria del tempo passato nella scuola: “non essendoci professori, l’ambiente lo fanno gli studenti. Fin da subito ti senti responsabilizzato nei confronti degli altri e dell’ambiente che ti circonda, poiché è quello lo strumento che ti consentirà di avanzare nel tuo percorso e di raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissata“.
Mario, che ora è un vero e proprio collaboratore della scuola, sottolinea come diventi immediatamente chiaro come la cosa più importante di tutte è “imparare a imparare“: l’apprendimento non è dunque raffigurabile in un cervello da riempire di nozioni, ma in una somma di relazioni che arricchiscono poco alla volta le proprie competenze e che ne stimolano continuamente lo sviluppo.
Dopo una vita passata in una scuola tradizionale, come è stato il vostro impatto con 42?
“Mi sono sentita spaesata“, ammette Bianca: “Tutti i progetti sembravano finalizzati ad abbattere la mia autostima, rivelandosi così in realtà estremamente stimolanti. In breve tempo sono diventata la prof di me stessa e si impara rapidamente l’arte dell’arrangiarsi“. Bianca sottolinea altresì come sia probabilmente più semplice iniziare un percorso in 42 da parte di chi non abbia ancora basi di coding e sia quindi pronto a formattare la propria mente secondo un metodo nuovo. Chi proviene da percorsi differenti, invece, ha lo scoglio dell’adattamento da affrontare, il che mette tutti a pari livello sulla griglia di partenza.
Emma confida da parte sua di essersi trovata immediatamente a proprio agio: “Wow, non c’è competizione! Finalmente mi sono trovata in una scuola dove è possibile applicarsi in un clima rilassante, senza l’ansia della prestazione”.
Com’è stata la Piscina?
Secondo Mario, la Piscina funge da vero e proprio filtro per la selezione dei talenti più adeguati a questo percorso: “c’è un tasso di abbandono fortissimo nei primi giorni: la piscina serve a capire se il metodo fa per sé o se non sia forse meglio cambiare immediatamente orizzonte“. Il concetto stesso di piscina, del resto, è pensato per misurare capacità e attitudini personali, così che possano emergerne soltanto i cervelli più adatti a questo tipo di formazione: per gli altri è inutile perdere tempo, poiché la prova sul campo è il miglior test attitudinale che possa esserci per misurare la bontà della proposta per le proprie prospettive.
Emma spiega di aver apprezzato immediatamente la Piscina poiché, nel suo creare difficoltà continue a chi la affronta, mette immediatamente in chiaro quella che sarà la scuola 42 e diventa fin da subito un grande fattore di stimolo. Si inizia così immediatamente a “fare gruppo” e ci si trova immersi in team collaborativi fatti di scambi di soluzioni, di relazioni ricche e di contaminazione formativa. Chi in questa fase si trova con le maggiori difficoltà, dopo breve può essere il più bravo e rapido nell’affrontare il percorso successivo poiché tutto dipende da capacità personali, capacità relazionali, capacità di problem solving e competenze maturate progetto dopo progetto. “La piscina? Diventi un monaco in mezzo ad altri monaci“: il che va letto come una grande congregazione collaborativa finalizzata all’apprendimento collettivo, aiutandosi gli uni gli altri in un vortice che crea simbiosi e sinergie continue.
I problemi da affrontare diventano il collante che unisce gli studenti e li mette in relazione. Ecco perché non sono l’età, né l’etnia, né le competenze antecedenti, a creare barriere o ostacoli. Tutti coloro i quali passano l’esame della Piscina si trovano immersi nel medesimo flusso di apprendimento, insieme, dentro un contesto nel quale tutto suggerisce di collaborare per arrivare insieme all’obiettivo.
Secondo voi il metodo 42 può essere applicato sempre e comunque? Come lo avreste vissuto ad esempio durante le scuole superiori?
A tal proposito le opinioni sono divergenti, o comunque estremamente equilibrate. Si tratta infatti di un metodo che mette la responsabilità al primo posto, cosa che non sempre tutti i ragazzi hanno tra le proprie virtù ad una età meno matura. Emma rivela ad esempio che avrebbe gradito maggiori margini di autogestione già negli anni delle scuole superiori, mentre Bianca sottolinea come in certe materie è comunque opportuno un approccio più didascalico.
Che il metodo 42 possa essere utile in ogni fascia di età è comunque acclarato poiché ad essere stimolata è soprattutto la responsabilizzazione: ecco perché gli studenti della scuola 42 escono “pronti” per il mondo del lavoro, plasmati sul concetto di lavoro cooperativo ed immediatamente appetibili per le aziende interessate alla ricerca di nuovi sviluppatori. Questa caratteristica è preziosa poiché evidenzia come un metodo differente abbia pregi che i percorsi tradizionali non hanno, mettendo a proprio agio un maggior numero di studenti e portandoli ad esprimersi al meglio alla ricerca di un loro ruolo nel mondo produttivo.
Come può funzionare una scuola senza voti e senza esami?
La dinamica emerge dal racconto dei ragazzi, secondo i quali il processo è basato su una serie di sfide e su una logica molto vicina a quella del gaming. I professori sono sostituiti da mentor che fungono da semplici coordinatori ed ogni studente procede per progetti. Ogni progetto deve essere adeguatamente testato e quindi prodotto, lasciando che una specifica calendarizzazione delle correzioni attribuisca ai compagni l’onere della verifica. I test sono codificati attraverso specifici protocolli e, qualora l’obiettivo risulti raggiunto, si ottiene un voto che non indica altro che il raggiungimento della meta.
Per il core curriculum serve circa 1 anno e mezzo di lavoro. Se per 80 giorni non vengono consegnati progetti, l’account viene disattivato: per allontanare questo “black hole” occorre quindi semplicemente attenersi ai comodi tempi di consegna concessi, sfruttando eventualmente un freeze di 6 mesi per problemi di qualsiasi tipo. Non esiste una logica del “fuori corso”, insomma, perché ognuno ha a disposizione la possibilità di tempi elastici e percorsi personalizzati. Massima libertà, insomma, pur all’interno di specifici paletti che segnano la strada verso l’accreditamento finale.
In collaborazione con 42 Firenze