Nell’aprile del 2009 due graphic designer originari del Texas lanciavano online un sito chiamato Lamebook . Uno spazio satirico, che avrebbe nel tempo messo in evidenza tutti gli orrori più esilaranti apparsi tra i giganteschi meandri social di Facebook. Episodi demenziali, post nonsense , scivoloni nel più classico stile FailBlog .
Ma non sembrano essere i contenuti ad aver preoccupato i legali di Facebook; piuttosto uno stile grafico un po’ troppo simile a quello ormai arcinoto della piattaforma di Mark Zuckerberg. A partire dal nome scritto in blu per giungere all’implementazione di pulsanti like e più in generale ad un’ambientazione troppo vicina a quella del social network da 500 milioni di amici.
A quasi un anno dalla sua fondazione, Lamebook aveva ricevuto svariate comunicazioni intimidatorie, fino ad una minacciosa lettera di tipo cease and desist . Cambiare nome e stile grafico del sito o subire un’azione legale. Ma i due founder Jonathan Standefer e Matthew Genitempo hanno giocato subito di rimessa .
Una causa legale è stata infatti avviata dal sito satirico, nel tentativo di ottenere la protezione garantita dal Primo Emendamento della Costituzione statunitense. Nessuna violazione del trademark da parte di Lamebook, solo un chiaro, evidente intento parodistico nei confronti del sito in blu .
Che Facebook non si sia rivelato piuttosto tenero con determinate risorse web è cosa comunque nota. Il social network aveva già suggerito a siti come Teachbook e Placebook di cambiare nome. Che non sia più possibile registrare un dominio che finisce in book ? Anche se si perde la faccia ?
Mauro Vecchio