La legge nota come Sarbanes-Oxley Act risale al 2002, era stata presentata come reazione allo scandalo Enron ma ha avuto, tra le sue conseguenze, quella della nascita del nuovo reato informatico di eliminazione di prove a mezzo cache. Un reato che è alla base di un nuovo caso scoppiato di recente.
L’ennesima, libera interpretazione del Sarbanes-Oxley Act riguarda Khairullozhon Matanov, 24enne ex-autista di taxi in rapporti con Tamerlan e Dhzokhar Tsarnaev, autori dell’attentato alla maratona di Boston. Matanov aveva cenato con i due attentatori la notte dell’esplosione, e si era poi recato dalla polizia di Quincy qualche giorno dopo aver appreso dell’operato dei fratelli Tsarnaev.
Ma alla polizia Matanov ha fornito un resoconto falso, e ha poi proceduto alla cancellazione della cache del browser Internet e all’eliminazione di alcuni video presenti sul suo computer. Messo sotto controllo da parte dell’FBI, l’ex-tassista è stato infine accusato – nel maggio del 2014 – di aver ostacolato l’azione giudiziaria e di aver distrutto prove utilizzabili a fini investigativi, un reato punibile con 20 anni di prigione.
Quest’ultima accusa è conseguenza diretta del succitato Sarbanes-Oxley Act, che nella Sezione 802 prevede pene severe per la distruzione di “record, documenti od oggetti tangibili” ma non parla espressamente di cache del browser Internet. Matanov si è dichiarato innocente e spera di cavarsela con una pena molto più leggera rispetto a quella massima stabilita dalla legge.
Sia come sia, il caso Matanov non è il primo caso di “distruzione della cache del browser” registrato nelle cronache giudiziarie americane: già nel 2010 lo studente universitario David Kernell era stato condannato per lo stesso motivo nell’ambito della violazione dell’account appartenente alla candidata alla vice-presidenza della Casa Bianca Sarah Palin.
Alfonso Maruccia