Se creare link è reato

Se creare link è reato

L'indagine sulle keyword di Google voluta dall'Autorità delle TLC appare paradossale: mettendo all'indice il googlebombing come fosse opera di cracker senza scrupoli si minaccia la libertà di espressione
L'indagine sulle keyword di Google voluta dall'Autorità delle TLC appare paradossale: mettendo all'indice il googlebombing come fosse opera di cracker senza scrupoli si minaccia la libertà di espressione


Roma – Buongiorno, leggo con stupore in una nota da poco pubblicata che l’Authority garante per le telecomunicazioni ha ordinato un’indagine in merito ad un presunto reato di pirateria informatica ai danni dell’attuale Presidente del Consiglio. L’attività contestata sarebbe quella di aver contribuito a far sì che il risultato più pertinente – per parole chiave come “miserabile fallimento” nel motore di ricerca più popolare – sia il sito della Presidenza del Consiglio italiana.

Il caso, com’è noto, non è inedito , essendo calcato alla lettera (e, confesso, con scarsa creatività) sull’analoga iniziativa americana . Ciò che è inedito – a mia conoscenza – è l’accusa di pirateria informatica per un’azione di questo tipo.

Esistono precedenti celebri di pressioni esercitate contro motori di ricerca in merito alla popolarità dei risultati per specifiche parole chiave: valga per tutti l’esempio di Google vs. Scientology . Ma nei casi finora noti, l’accusa è stata fatta sulla base di un’ipotetica infrazione del diritto d’autore stabilita tramite il (controverso) Digital Millennium Copyright Act, che si applica ai siti sotto giurisdizione americana.

Le differenze tra il caso americano e quello italiano sono tuttavia notevoli.

In primo luogo non esiste all’ora attuale in Europa alcuna legge che possa prefigurare l’ipotesi di reato per un uso di link da un sito A a un sito B. Nel caso succitato, inoltre, l’azione legale è stata intrapresa da parte di un’organizzazione che si è considerata parte lesa (Scientology) nei confronti di un motore di ricerca accusato di infrazione di diritti d’autore. L’indagine da parte dell’Authority italiana ? essendo tesa a “verificare modalità, responsabili e mandanti dell’azione di pirateria informatica” ? suggerisce invece un’azione promossa da un organismo pubblico di controllo nei confronti degli autori presunti di questa attività, senza per altro indicare di che tipo di infrazione si tratterebbe.

Che venga stabilita motu proprio dall’Authority di garanzia delle telecomunicazioni un’indagine per presunti atti di “pirateria”, in assenza di una normativa che ipotizzi alcun reato del genere, rappresenta a mio avviso un atto di gravità inaudita. Che venga inoltre paventato un reato di “pirateria” per l’uso legittimo della facoltà di creare un link e che l’indagine sia stata apparentemente ordinata contro gli utenti che creano link (e non, come nel caso del DMCA, contro il motore di ricerca) è tanto grave quanto contestare il diritto di manifestare la propria opinione. Questo è infatti il diritto che mi verrebbe negato nel momento in cui mi si contestasse la facoltà di creare un link verso il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri col titolo “miserabile fallimento”. È in particolar modo sorprendente che tale accusa provenga dall’autorità deputata a garantire da statuto “la tutela del pluralismo sociale, politico ed economico” nell’ambito delle TLC.

Il timore è che, come ormai succede in altri settori delle ICT a scala mondiale, una vaga accusa di “pirateria informatica” possa essere utilizzata per limitare sotto la pressione di gruppi di influenza politica o economica le libertà di singoli utenti. Auspico che questa iniziativa dell’Authority sollevi l’attenzione che merita.

Cordiali saluti,

Dario Taraborelli
dartar.free.fr

Caro Dario
oltre a sottoscrivere l’allarme per l’ennesima prova di scarsa conoscenza di cose della rete anche in quegli ambiti pubblici che più di altri dovrebbero approfondirne i meccanismi, ti dirò che da un paio di giorni Google, se digiti “fallimento”, non ti manda più alla biografia del presidente del Consiglio.
Era già avvenuto che il googlebombing non venisse apprezzato dalla società di Mountain View, era già avvenuto che anche AOL rimuovesse dai propri indici il “miserable failure” che collegava direttamente alla pagina di George W. Bush. Ma se questo avviene perché una net company cade vittima di un eccesso di pruderie su come vengono sfruttati certi propri servizi è un conto, seppure è cosa che dà da pensare, ma che una misura del genere venga presa su iniziativa di un’autorità di sorveglianza.. beh, questo mette i brividi.
A presto, Lamberto Assenti

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
10 apr 2006
Link copiato negli appunti