Un gruppo di ricercatori della canadese McGill University, guidati dalla professoressa Veronique Bohbot, ha condotto una serie di studi per verificare i rapporti tra determinate malattie che colpiscono il cervello (in primis l’Alzheimer) e l’uso intenso di navigatori satellitari.
Secondo quanto emerso dagli studi condotti, un uso intensivo di sistemi GPS è correlato ad un più alto rischio di incorrere in problemi di memoria e orientamento spaziale .
In pratica, l’utilizzo dei dispositivi di navigazione incrementerebbe la vulnerabilità delle zone del cervello deputate alla memoria e all’orientamento, in particolare l’ippocampo, non permettendone l’allenamento.
Altri studi avevano già verificato la correlazione tra questa parte del cervello e la capacità di muoversi nello spazio e orientarsi nelle strade: L’Università di Londra aveva per esempio notato che i tassisti ne hanno uno più sviluppato della popolazione costituita dai non-tassisti.
L’uomo, infatti, utilizza per orientarsi due diverse strategie: una, definita “navigazione spaziale”, funziona prendendo punti di riferimento per crearsi mappe cognitive per capire dove ci si trova; l’altra, chiamata impulso-risposta, si basa invece sull’esperienza e sul modo migliore, secondo i tentativi fatti in precedenza, per raggiungere una specifica destinazione.
La prima è quella legata all’ippocampo, la seconda quella che entra maggiormente in gioco con l’utilizzo del navigatore.
Sottoponendo i pazienti a risonanza magnetica si è rilevato che chi usa maggiormente la prima tecnica di orientamento ha, appunto, una maggiore attività (e dimensione) dell’ippocampo, viceversa coloro che si sono completamente affidati ai navigatori ne hanno uno meno sviluppato. Questo comporterebbe il rischio, con la vecchiaia, di atrofia della parte e insorgere di malattie come l’Alzheimer .
Ironia della sorte, proprio in Canada la polizia aveva pensato di dotare i malati di Alzheimer e di altre malattie che mettono a rischio l’orientamento, di braccialetti GPS: progetto in ogni caso abbandonato .
La ricerca universitaria non è tuttavia conclusiva e, anzi, ha sollevato vari dibattiti: innanzitutto perché non è detto che la grandezza dell’ippocampo sia conseguente al suo utilizzo per l’orientamento strategico spaziale, ma potrebbe anche darsi che una maggiore dotazione per quanto riguarda l’ippocampo porti all’impiego di un tipo di orientamento rispetto ad un altro.
In ogni caso, diventare una sorta di zombie spersi per il mondo e affamati di GPS potrebbe avere qualche possibilità di diminuire la qualità del naturale processo di invecchiamento umano. E un avvertimento spassionato mette sul chi vive.
Claudio Tamburrino