C’è chi ha sottolineato come si tratti di uno degli studi più completi ed elaborati degli ultimi anni. Una tesi universitaria, scritta da due studenti della Norwegian School of Management , il cui obiettivo è scoprire i vari effetti del file sharing illecito sugli effettivi profitti di case discografiche e singoli artisti .
I due studenti norvegesi hanno così analizzato i differenti flussi economici dell’intera industria musicale locale, a partire dall’anno 1999 per finire dieci anni dopo. La crescita decennale sarebbe – al netto dell’inflazione – del 4 per cento circa . Non certo un dato spettacolare.
Più interessante è stata però l’analisi dei vari flussi di reddito degli artisti norvegesi presi nel loro insieme. Dal 1999 al 2009, la crescita dei profitti è stata del 114 per cento circa . Un dato che potrebbe essere però spiegato a partire da un generale aumento del numero degli artisti stessi.
Ma la tesi ha immediatamente aggiunto un altro dato : ogni singolo artista locale avrebbe guadagnato il 66 per cento in più nel decennio indicato . E a ben poco sarebbero servite le vendite dei dischi fisici, responsabili di una fetta di guadagni che va dal 9 per cento del 1999 a poco meno del 50 per cento nel 2009.
Il 37 per cento degli artisti norvegesi avrebbe infatti basato più del 50 per cento dei suoi guadagni sugli spettacoli dal vivo . Merchandising compreso. Un’evidenza che ha implicitamente portato i due studenti a sottolineare come la pirateria non abbia certo mandato band e solisti sul lastrico, come spesso sostenuto a gran voce dall’industria.
Mauro Vecchio