Si tratta di uno studio che non piacerà affatto ai già nervosi signori del copyright, ormai nemici giurati di certe possibilità di condivisione offerte dalla Rete. A pubblicarlo è stato un professore di economia dell’Università del Minnesota, a confutare uno degli assiomi fondamentali sbandierati dall’industria statunitense del disco. Ovvero che il file sharing e il P2P uccidono la creatività degli artisti, azzerando le loro possibilità di vivere facendo musica.
Lo studio realizzato da Joel Waldfogel ha invece contestato questo perentorio principio di causa-effetto, sottolineando in primis come tutti i fratelli di Napster non abbiano affatto inciso sulla produzione annuale di dischi .
“Il monopolio legale messo in piedi dal copyright è sostanzialmente giustificato dal fatto che incoraggia la creazione di nuove opere – ha spiegato Waldfogel nell’abstract del suo studio – ma non ci sono prove per asserire questa diretta relazione”. In altre parole, il professore statunitense ha osservato come nuovi dischi continuino ad uscire con regolarità, addirittura con ritmi mai visti prima.
Non solo. Secondo lo stesso Waldfogel, le nuove tecnologie legate alla Rete sarebbero riuscite a sviluppare un contesto più aperto e democratico per la produzione di musica originale . Le major sarebbero invece divenute quasi obsolete: raggiungere il pareggio del bilancio richiederebbe loro più tempo rispetto alle varie etichette indipendenti.
Etichette più flessibili, che spesso utilizzano strumenti come i social network per la promozione di musica originale. È infatti recente la decisione del rapper Snoop Dogg di pubblicare su MySpace tutte le canzoni del suo ultimo album, prima ancora che quest’ultimo uscisse grazie ai canali ufficiali .
Internet avrebbe quindi garantito – almeno secondo Waldfogel – nuove strategie di promozione e distribuzione della musica, guidando la rivoluzione digitale che forse le grandi etichette faticano ad accettare. Un ritorno ai piccoli budget per le classiche band da garage. Tra uno status di Facebook e canzoni condivise.
Mauro Vecchio