Che il rapporto, sempre più complesso, tra mente umana e apparecchi elettronici fosse portatore di diverse conseguenze per la struttura neurobiologica sembra essere una consapevolezza scientifica ormai acquisita . Ora, la ricerca prova ad andare ancora più a fondo nell’analisi dell’impatto che la navigazione in Rete provoca sulla capacità mnemonica umana.
Che influenza producono Google e Wikipedia, il crescente uso di smartphone e il conseguente boom di app e, più in generale, l’afflusso ininterrotto di informazioni che va sotto il nome di “information overload”? Secondo un paper pubblicato di recente sulla rivista Science Express (parente della più nota Science ), la possibilità di rintracciare qualsiasi tipo di informazione in pochi secondi è sicuramente un beneficio, ma si tratta di una conquista carica di ripercussioni negative sulla memoria umana . Gli autori dello studio, intitolato “Gli effetti di Google sulla memoria: conseguenze cognitive dell’avere le informazioni sulla punta del dito”, hanno presentato quattro esperimenti a dimostrazione di tale asserzione.
Nel primo, gli scienziati hanno sottoposto il focus group a una serie di semplici quiz, per poi testare, mediante uno Stroop Test modificato, i tempi di risposta nel colorare parole relative al computer e altre non inerenti all’informatica. Si è scoperto che, nel momento in cui venivano somministrate domande complicate, il campione si soffermava più tempo sulle parole collegate al computer, comportamneto che, secondo i ricercatori, suggerisce una relazione stretta tra il bisogno di informazioni e l’uso del PC .
Il secondo test ha valutato se gli individui ricordano le informazioni sapendo di avere la possibilità di accedervi in un secondo momento. Il risultato è stato che, inconsciamente, compiamo un piccolo sforzo nel ricordare qualcosa che sappiamo poter consultare in futuro. Una conclusione ritrovata anche nel terzo esperimento, nel quale i soggetti hanno dimostrato di ricordare meglio le informazioni quando sanno che queste sono state salvate da qualche parte , pur non sapendo dove.
L’ultima prova, infine, ha segnalato che le persone ricordano meglio il luogo in cui le informazioni sono state salvate piuttosto che l’informazione in sè . I risultati disegnano una cornice entro la quale i soggetti dimostrano di essere sempre più dipendenti dalle fonti digitali di informazioni, atteggiamento che li spinge a compiere meno sforzi di memoria (quindi ricordare meno) quando sanno che potranno navigare online.
“Le persone si preoccupano circa la relazione che intercorre tra tecnologia e capacità cognitive”, spiega Betty Sparrow, ricercatrice della Columbia University e capo del progetto di ricerca. “Gli individui – continua Sparrow – si preoccupano di cercare qualsiasi cosa online e non di ricordare ciò che leggono”. Si tratta di una cornice mentale entro la quale le tecnologie di elaborazione delle informazioni hanno un grande potere nel forgiare il nostro cervello. Gli esperti la definiscono memoria transattiva : fondamentalmente, ci si ricorda di più il supporto dal quale si attinge l’informazione e non il contenuto in sé.
Lo scopo di tale ricerca, come sottolinea la stessa coordinatrice, non è creare un allarme sociale sulle conseguenze nefaste della tecnologia, bensì cercare di raggiungere una comprensione maggiore della memoria umana nell’era di Google e scorgere, così, i benefici nell’apprendimento e nell’insegnamento. Morale: c’è bisogno, dunque, che la memoria umana si adatti al meglio alle tecnologie della comunicazione.
Cristina Sciannamblo