Le procedure messe in moto dall’FBI, agevolate dal Patriot Act sono incostituzionali: lo ha implicitamente ammesso lo stesso Bureau, ritirando la richiesta di consegna dei dati di un utente inoltrata a The Internet Archive , testimone della storia del Web, raccoglitore dei più svariati materiali caduti in pubblico dominio.
Era la metà di novembre dello scorso anno quando è stata recapitata presso gli uffici di The Internet Archive una National Security Letter , la notifica con cui l’FBI può scavalcare le ordinarie lungaggini burocratiche e intimare a provider e operatori telefonici, ad aziende e, fino a un paio di anni fa, anche ad organizzazioni come le biblioteche di consegnare dei dati relativi ai propri utenti. Una procedura agile e silenziosa, concessa ai federali dal discusso Patriot Act, in nome della sicurezza nazionale. Le lettere possono contenere l’ordine di mantenere il più stretto riserbo sulle procedure di consegna dei dati: le informazioni relative al cittadino sospettato dall’FBI devono traslare dal destinatario della Letter all’agenzia investigativa senza sollevare alcuna polemica, senza che l’interessato ne sappia nulla.
L’agenzia governativa era alla ricerca di nome, indirizzo, log delle transazioni elettroniche e delle attività di un utente di Internet Archive: ma le ragioni della sicurezza nazionale non hanno convinto Internet Archive a collaborare, a consegnare i dati dell’utente. Brewster Kahle, padre dell’archivio del web nonché membro di Electronic Frontier Foundation ( EFF ), ha risposto con fermezza all’FBI: ha consegnato gli unici dati che disponeva riguardo all’utente, quelli pubblici, già a disposizione di tutti sulle pagine del sito. Dati inutili per l’agenzia investigativa, alla caccia di materiale più succulento, che avrebbe potuto rivelare qualche informazione preziosa riguardo alla vita del sospetto.
Ma non è tutto: con l’appoggio dei legali di EFF e dell’associazione per i diritti civili ACLU, The Internet Archive ha trascinato in tribunale l’FBI con l’ accusa di aver aver ingaggiato una procedura incostituzionale : chiedendo di far passare il tutto sotto silenzio, l’FBI ha violato il Primo Emendamento, tentando di sopprimere la libertà di esprimersi e la libertà del cittadino ad informarsi. Per questo motivo i legali di Internet Archive hanno chiesto che l’FBI tornasse sui propri passi, che ritirasse la richiesta dei dati e l’ordine di segretezza.
Le National Security Letter, insieme all’intero Patriot Act sono da tempo nel mirino delle associazioni a tutela dei diritti civili, la stessa EFF si è più volte scagliata contro gli abusi di potere delle agenzie investigative. Le testimonianze e i documenti resi pubblici finora sono forse riusciti a smuovere le coscienze dei cittadini, a infrangere il silenzio sulle 200mila lettere recapitate tra il 2003 e il 2006, ma non sembrano aver sortito alcun effetto sulla realtà: il Patriot Act è sotto attacco , ma il suo impatto sembra non essersi attutito.
Il fendente sferrato da Internet Archive potrebbe però far vacillare il controverso provvedimento: l’FBI si è accordato con i legali dell’archivio del Web, ha ritirato la notifica, il giudice incaricato di valutare il caso ha tolto i sigilli ai documenti depositati finora in tribunale dalle due parti. Ora la vicenda è di pubblico dominio e la marcia indietro da parte dell’agenzia investigativa emerge con chiarezza, nonostante un rappresentante dell’FBI abbia assicurato che “le National Security Letter rimangono strumenti indispensabili per il buon corso delle indagini nell’ambito della sicurezza nazionale e per consentire all’FBI di investigare per contrastare il terrorismo e nelle operazioni di controspionaggio”.
Sono finora tre i casi in cui ACLU ha supportato delle organizzazioni raggiunte da una National Security Letter: in ciascuna delle occasioni i federali hanno rinunciato a combattere. Ottenuta la trasparenza sul caso, il nodo della questione è ora incoraggiare i cittadini a difendersi, spiega Melissa Googlman, legale di ACLU che ha sostenuto la causa di The Internet Archive: “Quante altre richieste indebite sono state recapitate senza che il destinatario abbia provato ad opporsi?”.
Gaia Bottà