Se non apprezzi Facebook è perché non lo capisci

Se non apprezzi Facebook è perché non lo capisci

Sono gli utenti a non capire come funziona l'attività di Facebook o è il social network a non comprendere le esigenze e i timori dei suoi iscritti?
Se non apprezzi Facebook è perché non lo capisci
Sono gli utenti a non capire come funziona l'attività di Facebook o è il social network a non comprendere le esigenze e i timori dei suoi iscritti?

Il 2019 di Facebook sarà diverso. Una dichiarazione d’intenti che Mark Zuckerberg ha manifestato fin dai primi giorni del nuovo anno, con la volontà di giocarsi ogni carta possibile per lasciarsi finalmente e definitivamente alle spalle un 2018 che peggio non poteva andare. Prima l’esplosione del caso Cambridge Analytica, poi il social network finito al centro di accese discussioni legate a modalità di trattamento dei dati e tutela della privacy.

Zuckerberg in difesa di Facebook

Uno dei primi step di questa strategia è quello che ha visto ieri il numero uno del gruppo intervenire sulle pagine del Wall Street Journal con un papiro da 1.000 parole intitolato “The Facts About Facebook” che tocca alcuni dei punti più delicati dell’attività di FB. Tra questi la necessità di continuare a basare il proprio business sull’advertising per assicurare all’infrastruttura la sostenibilità economica e la disponibilità a collaborare con le istituzioni a livello globale per definire regole condivise sulla gestione delle informazioni.

Il co-fondatore e CEO della piattaforma sottolinea inoltre come il social si sia dotato nel tempo di strumenti utili a garantire trasparenza e controllo delle modalità di sfruttamento dei dati, conferendo all’utente finale la libertà di intervenire sulle dinamiche di profilazione che interessano l’account.

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Trasparenza e percezione

Una frase in particolare, però, catalizza l’attenzione: è quella in cui Zuckerberg fa riferimento alla percezione degli utenti delle modalità attuate da Facebook per quanto concerne pubblicità e privacy. Parte dal presupposto che la diffidenza andata via via crescendo nel tempo, in particolare nell’ultimo anno, sia frutto di una scarsa capacità di comprensione, arrivando quasi a considerare illegittime preoccupazioni che invece, alla luce di quanto fin qui emerso, ci sentiamo di definire più che giustificate.

Questo modello può sembrare poco chiaro, tutti siamo diffidenti nei confronti dei sistemi che non capiamo.

L’intervento prosegue con un passaggio in cui sostanzialmente si afferma che cedere le informazioni degli utenti a realtà di terze parti va contro gli interessi stessi dell’azienda.

Per questo a volte le persone pensano che facciamo cose che in realtà non facciamo. Ad esempio, non vendiamo le informazioni sugli utenti, anche se spesso viene riportato che è così. Infatti, vendere i dati degli iscritti agli inserzionisti andrebbe contro gli interessi del nostro business, poiché ridurrebbe il valore unico del nostro servizio offerto a chi acquista advertising. Per noi proteggere le informazioni delle persone dall’accesso da parte di altri è un forte incentivo.

Eppure, la vicenda che ha visto alcune tipologie di dati (compresi i messaggi privati) finire nelle mani di partner come Spotify, Microsoft o Netflix non è stata ancora del tutto chiarita. Si aggiungano i bug e le vulnerabilità che hanno esposto contenuti e dettagli privati per avere un quadro più completo.

Per il titolo del nostro articolo abbiamo preso in prestito quello pubblicato sul tema da Gizmodo poiché ne condividiamo il punto di vista e lo sviluppo. L’impero di Zuckerberg al momento non ci sembra poter essere insidiato da una concorrenza che anziché crescere e affermarsi getta la spugna, ma se da un lato due miliardi di utenti continuano a popolare le bacheche della piattaforma, dall’altra investitori e mercato azionario sembrano aver preso coscienza di una prospettiva tutt’altro che priva di incertezze. Il grafico di seguito mostra l’andamento del titolo nell’ultimo anno.

L'andamento delle azioni di Facebook nell'ultimo anno

È questione di fiducia

Non siamo certi che difendere a oltranza pratiche forse non illegittime, ma di certo discutibili, sia la strada giusta da percorrere per ripristinare quel rapporto di fiducia tra le parti più volte messo in crisi. Al tempo stesso, non pensiamo nemmeno che un semplice mea culpa possa cancellare tutto quanto successo in passato e ancora ben impresso nella memoria.

Sappiamo che Zuckerberg non è più quel ragazzo che mentre il progetto Facebook muoveva i suoi primi tra le aule di Harvard definiva le prime migliaia di iscritti come “dumb fucks” disposti a cedere dati personali. Oggi è l’uomo al comando di una realtà globale, che quotidianamente veicola informazioni in tutto il pianeta, muovendo enormi capitali e influenzando l’opinione pubblica, nel bene e nel male. Tra pochi giorni il social compirà 15 anni e i tempi ci sembrano maturi per un’assunzione di responsabilità, perché il suo numero uno provi a ribaltare il proprio punto di vista, arrivando a prendere in considerazione che forse è il suo prodotto a non comprendere esigenze e timori degli utenti, non il contrario.

Fonte: Gizmodo
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Pubblicato il
25 gen 2019
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