La strenua resistenza tentata da Seeqpod , sito di ricerca e streaming di file multimediali, è per molti destinata ad essere scardinata in breve tempo: ne è testimonianza concreta la decisione di ricorrere tra le braccia del Capitolo 11, una parte della legge fallimentare statunitense che assiste le società in via di ridefinizione della propria struttura. I guai sono iniziati più di un anno fa, grazie alle azioni legali intentate da major del calibro di EMI, Warner e Capitol Records. Dopo aver tentato il tutto per tutto, la decisione di ricorrere alla legge sarebbe secondo l’azienda quella più sensata.
Il servizio, che ha riscosso non poco consenso tra gli utenti al punto da lanciare anche un’ applicazione per Windows Mobile e un minisito per iPhone, permette agli utenti di rastrellare il web alla ricerca di contenuti multimediali, siano essi audio o video, di riprodurli direttamente dall’apposito player e di catalogarli creando playlist che possono essere condivise con altri utenti. L’origine delle questioni legali che vedono coinvolto Seeqpod risiede nell’impossibilità di stabilire se il materiale indicizzato sia o meno in linea con le leggi che tutelano la proprietà intellettuale: in altre parole, se si tratta di materiale pirata o meno. Secondo Ars Technica , non vi sarebbe alcun modo per rendere sicure le ricerche fatte tramite Seeqpod senza snaturare pesantemente il concetto che ruota alla base del servizio stesso.
A nulla sarebbe servita la mossa strategica di vendere porzioni del proprio codice ad altri sviluppatori ad un prezzo di 5mila dollari, nel tentativo di costruire un piccolo esercito di cloni e di rendere molto più arduo il compito di chi vuole che il servizio cessi di esistere. Da tempo le mire delle major sarebbero state focalizzate proprio sul servizio, accusato di violare il diritto d’autore nonostante si configuri come un vero e proprio motore di ricerca per contenuti. Comunque, la macchina burocratica all’attacco sembra non voler risparmiare alcun colpo per affondare l’intera barca: EMI ha di recente spiegato la sua filosofia a riguardo, dichiarando che la responsabilità in questo caso è trasversale e riservandosi così il diritto di trascinare in tribunale tutti quei servizi che hanno nel corso del tempo integrato le API offerte da Seeqpod nei loro servizi.
Inoltre, i vertici di Seeqpod avrebbero confidato sin troppo sul safe harbor previsto dal DMCA , che dichiara non responsabili i provider del contenuto e delle azioni degli utenti: le tanto temute azioni legali sono, infine, giunte con una decisione tale da far decidere allo staff di correre all’unico riparo sicuro rimasto, il Capitolo 11. Nonostante in molti utilizzino il termine “fallimento” e nonostante tale normativa faccia parte proprio dei procedimenti dedicati alla legge fallimentare statunitense, più che della cessazione dei servizi si potrebbe parlare (almeno sulla carta ) di una ristrutturazione interna . Generalmente il Capitolo 11 prevede un periodo utile a risanare la situazione, ma va anche detto che ogni caso è, per forza di cose, una storia a sé stante. Quale sarà il destino di Seeqpod è difficile stabilirlo adesso: attualmente il servizio è attivo e funziona. In molti, comunque, potrebbero vedere il ricorso alla tutela della legge fallimentare come l’inizio dei titoli di coda. Nonostante ciò, la parola fine potrebbe essere non del tutto così scontata.
Vincenzo Gentile