Non solo gli scambi a mezzo P2P, non solo i contenuti che fluiscono a mezzo torrent: la Corea del Sud, con la legge antipirateria approvata di recente, intende punire tutti coloro che mettano a disposizione dei contenuti approfittando di qualsiasi piattaforma. Gli operatori della Rete si stanno adoperando per contenere i danni.
La banda larghissima a disposizione dei cittadini della rete coreani è da tempo sfruttata come veicolo di scambio: all’industria dei contenuti non è bastato il tentativo di contenere la pirateria stipulando accordi su scala internazionale, non sono bastate le proposte volte a sfamare i netizen con offerte legali. È stato necessario l’intervento del governo, che ha messo a punto e approvato una legge che ricalca i meccanismi della dottrina Sarkozy che sta prendendo forma in Francia. Avvertimenti per coloro che vengano colti a condividere senza autorizzazione, sospensioni di account e disconnessioni per i netizen che si dimostrino recidivi: si declina così anche la soluzione antipirateria coreana.
Se la dinamica appare fin troppo cristallina, si affollano i dubbi riguardo alla modalità con cui verrà convertita in azione. Ad essere marcati stretti dall’industria e dalle autorità non sono semplicemente i cittadini della rete, ma anche i servizi che consentono ai netizen di condividere contenuti. Sul loro capo pendono diffide e avvertimenti, richieste di rimozione. Qualora non si attengano alle ingiunzioni inoltrate dai detentori dei diritti potrebbero essere a loro volta isolati dalla rete, confinati offline .
È così che in primo luogo gli operatori della rete coreana hanno smesso di pubblicizzare i servizi dedicati alla condivisione. Anche la divisione pubblicitaria di Google si starebbe adoperando per smettere di fornire visibilità agli inserzionisti che propongano ai netizen condivisione e download di contenuti non esplicitamente autorizzato dai detentori dei diritti.
Ma non di sola pubblicità si tratta. I gestori di piattaforme online non si sono spinti per ora ad agire come la divisione locale di Google, che ha imposto per alcuni servizi il divieto di upload e che ha cristallizzato YouTube in un servizio read only con l’obiettivo dichiarato di sfuggire alla schedatura degli utenti e di impedire loro di violare la legge. I gestori di servizi quali piattaforme di blogging e social network hanno però iniziato a prendere le misure.
La formulazione vaga della legge parrebbe punire indistintamente qualsiasi tipo di violazione del copyright, si dispiegherebbe su brani musicali e film, su stralci di testo e sulle immagini, che siano condivisi a mezzo P2P o che siano messe a disposizione sul Web: per questo motivo gli operatori hanno allertato i propri utenti segnalando loro che ogni violazione è assolutamente proibita. Il fatto che le sanzioni si abbattano sia sugli utenti sia sugli stessi gestori dei servizi di condivisione sembra stia innescando un doppio regime di vigilanza sui cittadini della rete, scoraggiati dalla condivisione tanto dalle autorità e dai detentori dei diritti quanto dalle piattaforme che ospitano le loro attività in Rete.
Gaia Bottà