Shagbook contro Facebook: quel suffisso è generico

Shagbook contro Facebook: quel suffisso è generico

Azienda assonante si schiera contro l'esclusiva sul suffisso "book" ottenuta dal social network in blu: si sta semplicemente parlando di un libro
Azienda assonante si schiera contro l'esclusiva sul suffisso "book" ottenuta dal social network in blu: si sta semplicemente parlando di un libro

Il sito britannico Shagbook ha controdenunciato Facebook, accusata di avere come marchio un termine generico: il social network l’aveva aizzato chiedendogli di di non utilizzare il suffisso “book” nel suo nome, come faceva indisturbato dal 2006.

Dopo aver chiesto e ottenuto la registrazione dell’utilizzo con riferimento ai siti Web del termine Facebook (già una piccola conquista dal momento che nei college americani indica gli annuari scolastici) e aver depositato la richiesta per il suffisso “book”, il social network in blu si è spinto oltre chiedendo anche la registrazione dell’altra parte del suo nome, “face”, subentrando alla domanda depositata dal sito Faceparty.com .

Maggiori problemi per rivendicare l’esclusiva di utilizzo, Facebook li ha avuti però finora proprio con il suffisso “book”: pur essendo una parola generica, che quindi in linea teorica non può costituire segno o nome distintivo registrabile come marchio, Facebook ritiene che il suo impiego in combinazione in una parola composta costituisca ormai, soprattutto se utilizzato per un sito omologo al proprio, una violazione della sua proprietà intellettuale . E su queste basi ha già bacchettato la community di insegnanti Teachbook.com .

La difesa dei marchi commerciali sta negli ultimi anni assumendo un ruolo sempre più rilevante nella gestione della proprietà intellettuale delle aziende ICT: Apple per i suoi iCosi , Google per Android, Chrome e, da ultimo, Huddle, uno dopo l’altro tutte hanno avuto riscontrato qualche problema.

Il caso più eclatante, per i soggetti che vede contrapposti, è quello relativo alla procedura di registrazione del termine “App Store” presentato da Apple presso l’Ufficio marchio e brevetti statunitense e contestato prima da Microsoft e poi da Amazon con la stessa tesi: in fondo “app” significa applicazione, “store” negozio, e la loro combinazione indica generalmente il luogo digitale attraverso cui sono vendute applicazioni.

A voler ora chiarezza sulla materia è invece un’azienda ben più piccola di Microsoft, il sito britannico Shagbook che davanti alla richiesta di Facebook di non utilizzare il suffisso per il suo sito ha risposto accusando il social network di Zuckerberg di essersi appropriato di un termine generico.

Per supportare la sua tesi riporta la storia del termine, nato per identificare i siti di confraternite o università contenenti foto e informazioni biografiche degli studenti. Anche se già le sue origini appaiono deboli, poi, Facebook avrebbe, secondo l’accusa, fatto un abuso del marchio ottenuto indugiando in azioni anticompetitive che non trovano giustificazione nel rischio di confusione da parte degli utenti.

Da parte sua il fondatore di Shagbook – si legge nelle spiegazioni del portavoce del sito – ha impiegato (ma nella sua vita privata) il termine fin dal 2000 e creato il sito di incontri nel 2006 nel Regno Unito.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
5 ago 2011
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