Shuttle, lancio rimandato

Shuttle, lancio rimandato

Una perdita di idrogeno ha consigliato uno stop alle procedure di partenza. Ci si riproverà la prossima settimana. Ma in caso di altri ritardi, il lancio potrebbe essere posticipato di un mese
Una perdita di idrogeno ha consigliato uno stop alle procedure di partenza. Ci si riproverà la prossima settimana. Ma in caso di altri ritardi, il lancio potrebbe essere posticipato di un mese

Sembrava tutto pronto, i serbatoi erano quasi pieni e l’equipaggio si stava preparando a partire. I sette astronauti che dovranno raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale per dotarla di altre due ali fatte di pannelli fotovoltaici, però, non sono neppure saliti a bordo: una perdita di idrogeno liquido da uno dei serbatoi che alimenta il vettore di lancio ha fatto propendere il controllo missione per un altro rinvio. Un problema per i tre cosmonauti al momento a bordo della ISS, che erano ansiosi di ricevere un cambio e l’assistenza da terra portata dallo Shuttle, ma che hanno accolto di buon grado la notizia visto che in gioco ci sarebbe potuta essere la vita dei loro colleghi.

Si tratta, per la navetta Discovery, dell’ ennesimo rinvio di un lancio che era stato fissato per febbraio. Ad aver impedito fino ad oggi di spedire i nuovi componenti a bordo della ISS sono state proprio le valvole che tengono chiusi i serbatoi dell’idrogeno, il carburante che spinge il veicolo spaziale: durante il precedente lancio una aveva ceduto, mettendo a rischio l’incolumità dei passeggeri a causa di una potenziale e catastrofica esplosione. Dopo lunghi accertamenti, la NASA aveva escluso che il guasto fosse dovuto a un difetto di progettazione o fabbricazione, stabilendo che la struttura attuale fosse in grado di volare.

In questo caso , tuttavia, la perdita di idrogeno non sarebbe venuta dalle valvole incriminate. Piuttosto, dalle prime analisi parrebbe che un’altra valvola installata sui serbatoi con il compito di consentire l’eventuale sfogo della pressione in eccesso non avrebbe funzionato correttamente, causando la perdita. Un evento che avrebbe potuto anche non influire sull’esito positivo del lancio, ma che per ragioni precauzionali ha consigliato ai tecnici dell’ente spaziale USA di rimandare ulteriormente di alcune ore le procedure di partenza.

Se tutto dovesse andare per il meglio, già domenica o al più tardi lunedì il Discovery potrebbe ritentare il decollo. Il punto di non ritorno è fissato per martedì: il rinvio ha già costretto a rivedere il piano di volo per tagliare alcuni compiti che i sette astronauti avrebbero dovuto svolgere una volta in orbita, e qualsiasi ulteriore ritardo costringerebbe ad annullare la missione. Per la fine del mese è previsto anche il lancio di una navetta russa Soyuz, che dovrebbe raggiungere l’ISS per consentire l’avvicendamento dell’equipaggio: comprimere i tempi metterebbe a dura prova i nervi e le capacità operative degli astronauti e dei team di supporto a terra, esponendo tutti a rischi inutili, senza contare gli evidenti problemi di traffico.

Parlando di traffico, l’incidente dello scorso mese che ha coinvolto un satellite militare russo in disarmo e uno dei componenti della costellazione Iridium, ha riacceso il dibattito del problema dei rifiuti spaziali . A causa dell’impatto, ora la conta dei detriti che potenzialmente potrebbero causare problemi ad altri satelliti o alle missioni umane è salito di quasi altri mille unità, ponendo una seria questione per quanto attiene la sicurezza e la fattibilità di ulteriori lanci a meno di non tener conto di un numero di fattori imprevedibili in costante crescita: e gli esempi, anche di estrema attualità , non mancano.

Gli scienziati si stanno interrogando su come risolvere questo problema: le soluzioni suggerite spaziano tra le più improbabili, ivi comprese fantomatiche reti lanciate in orbita per raccogliere e trascinare giù gli oggetti indesiderati, oppure razzi balistici lanciati da terra che avrebbero il solo risultato di rischiare di aumentare notevolmente il numero dei frammenti. Tra le altre, le più probabili prevedono il lancio di vecchi vettori caricati con tonnellate d’acqua , da liberare nelle zone problematiche una volta in volo: il peso aggiuntivo dovrebbe consentire di abbassare l’orbita dei detriti fino a spingerli al rientro, e quindi alla distruzione in atmosfera.

L’alternativa è una soluzione fatta di laser a bassa potenza spediti in orbita: piazzati sopra la quota dei detriti, scaldandoli leggermente con dei piccoli “flash” potrebbero ottenere un risultato analogo al caso precedente. In ogni caso, non esiste ancora una ricetta ufficiale e definitiva: i costi di ciascuna delle proposte sono variabili in funzione di obiettivi e aspettative di chi dovrà finanziarli. I tecnici non mancano di sottolineare quanto debba pesare sulla scelta finale il rischio che ogni giorno sempre di più gli astronauti e i satelliti artificiali in orbita corrono a causa della spazzatura spaziale, e il costo in termini di vite umane perdute e di danni subiti che questo tipo di incidenti potrebbero arrecare.

La sicurezza, visti anche i continui rinvii legati proprio a questo aspetto, è poi al centro anche delle decisioni sul futuro dello Shuttle . Le navette attuali sono state progettate decenni fa e risentono tutto il peso degli anni: soluzioni più moderne, e possibilmente più economiche, sono già allo studio anche in Europa. Anche in questo caso, tuttavia, manca un consenso generale su quale debba essere la forma da dare ai lanciatori riutilizzabili del futuro: e tra discussioni tra motori ibridi, a uno o due stadi, e carburanti da utilizzare, la data di scadenza dello Shuttle si avvicina senza che un vero sostituto sia pronto a prenderne il posto.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
13 mar 2009
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